venerdì 19 agosto 2016
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«Non è nata come una retrospettiva e non lo è nemmeno ora che Bowie non c’è più. Il titolo stesso “Bowie is” pone la prospettiva sul presente». Hanno ragione Victoria Broackers e Geoffrey Marsh, curatori della mostra lanciata nel 2013 dal Victoria & Albert Museum di Londra per celebrare il genio artistico di David Bowie.(Foto courtesy the David Bowie Archive, Victoria and Albert Museum, London)Visitata da milioni di persone nelle 9 tappe precedenti, la mostra è appena arrivata al MamBo – Museo d’arte moderna di Bologna – dove resterà sino al 13 novembre, ed è la prima volta che viene riallestita dopo l’improvvisa scomparsa del cantante lo scorso gennaio. Un uomo che ha cambiato la storia del rock, sapendo cogliere, macinare e rielaborare le istanze culturali alte del Novecento trasformandole in tendenze di cui ancora oggi è ben presente l’influenza.

Nel bene e nel male, perché il percorso di David Bowie è stato tutt’altro che lineare, un mix di trasgressione, stile, ambiguità non esenti da eccessi ma capace sempre di proiettare una visione originale e di creare capolavori fondamentali della storia della musica contemporanea, riassunti in 27 album e 145 milioni di dischi venduti. 

Ma la mostra “David Bowie is” ha il grande pregio di svelare il retroterra culturale e artistico del musicista, che conferma la complessità di pensiero alle spalle di lustrini, kajal e zazzere tinta fuoco, conducendo lo spettatore all’interno di un processo ceativo capace di canalizzare i più ampi movimenti nell’ambito dell’arte, del design, del teatro, della fotografia e della moda.

Più che una mostra, si tratta di un’esperienza multimediale e sensoriale che ci porta a vivere in prima persona le atmosfere degli anni 60 e 70 in cui si mosse il giovane Bowie e gli sviluppi della sua attività sino ad oggi. Una volta infilate le cuffie dell’audioguida veniamo accolti dalla sua inconfondibile voce baritonale, e iniziamo una sorta di “viaggio nel paese delle meraviglie” in un caleidoscopio di videoclip, spezzoni di interviste, musica, testi autografi delle canzoni piu celebri (emoziona la bozza su foglio a quadretti con correzioni di Heroes), bozzetti di spettacolo e magnifici costumi di scena.

Trecento oggetti in tutto provenienti dalla sua immensa collezione privata, disposti su oltre 1000 metri quadrati. A partire dalla celeberrima tuta a righe dello stilista giapponese Kansai Yamamoto, per il tour di Aladdin Sane del 1973, ispirata allo stile dei samurai giapponesi e degli attori kabuki. Perché Bowie è soprattutto teatro. Il biondino David Jones, nato nel popolare quartiere londinese di Brixton nel 1947, lascia presto il posto al David Bowie che, in realtà, diventa “uno nessuno e centomila”, inventando e archiviando personaggi iconici uno via l’altro. Eccolo quindi nel 1972 sbalordire il pubblico della Bbc abbigliato con la tutina multicolor dell’alieno Ziggy Stardust in una travolgente versione di Starman qui riproposta su megaschermo. Come di estremo interesse sono un video del ’69 con un giovanissimo Bowie in veste di mimo sulle orme del maestro Lindsay Kemp, o la rara sequenza fotografica scattata da Brian Duffy all’efebico Aladdin Sane, con tanto di flash sul volto, divenuto emblema stesso del rock. Tanti gli scatti in mostra dei piu celebri fotografi che collaborarono con l’artista, da Terry O’Neill ( Diamonds and dogs) a Frank Ockfensels, Herb Ritts e John Rowlands. Come intensi sono gli scambi del Bowie pittore e collezionista con artisti come Basquiat.  Affascinante è tutta la sezione dedicata al periodo berlinese di Bowie in cui creò insieme a Iggy Pop e Brian Eno la sua sperimentale “Trilogia di Berlino”. Low, Heroes e Lodger registrati fra il 1977 e il 1979, sono influenzati, come sottolinea la mostra, da Dadaismo, Espressionismo tedesco, cabaret anni 20 ed elettronica. E scopriamo pure come, nella scrittura dei brani, Bowie utilizzi la tecnica del cut-up (ritagli di parole mescolati) insegnatagli da William Borroughs. Ma è nell’imponente Sala delle Ciminere la parte piu spettacolare, in cui il pubblico viene immerso nei grandi concerti live di Bowie, capace di interpretare i tempi, come nell’omaggio alle vittime dell’11 settembre al Madison Square Garden di New York nel 2001. Maturando consapevolezza e, come nell’album dell’addio Blackstar, domande profonde sulla morte e sul nostro destino.
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