venerdì 26 giugno 2015
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Con 38 voti favorevoli, 6 contrari e nessun astenuto, l’Assemblea Capitolina ha approvato la mozione per la candidatura di Roma ad ospitare i Giochi olimpici e paralimpici del 2024. «Oggi facciamo il primo passo di un percorso che ci porterà non solo a competere ma a vincere la sfida. Roma ha tutte le carte e l’orgoglio per vincere», ha detto il sindaco, Ignazio Marino. «Come è stato per Barcellona e Londra – ha aggiunto – qualora ci fossero assegnate, le Olimpiadi lasceranno un’identità rinnovata, moderna e sostenibile. Il modello è quello di Barcellona 1992, di un progetto sostenibile economicamente e che ricucisca gli spazi della città, guardando anche al futuro dei trasporti e delle periferie». Dure le opposizioni: «Nel pieno di Mafia Capitale, con conti fuori controllo e servizi inadeguati, prospettare la candidatura ci pare assurdo», ha detto il capogruppo del Movimento 5 Stelle in Campidoglio, De Vito, mentre Storace (La Destra) ha parlato di «degrado morale incompatibile con la candidatura».«Quella di Roma è una candidatura molto forte, sia per la vostra storia, sia per la ricca tradizione sportiva e olimpica, ma anche perché avete tanti rappresentanti nell’organizzazione dello sport internazionale. Ho molti ricordi dei Giochi di Roma 1960, fu la mia prima esperienza olimpica. È bello vedere che lo sport ha tanti amici in questa nazione olimpica in cui mi sento a casa...». Queste di Thomas Bach, presidente del Comitato Olimpico Internazionale, ricevuto il 22 maggio scorso al Quirinale da Sergio Mattarella, sono molto più di semplici parole di circostanza, perché alludono in modo diretto ed inequivocabile ad un fondamentale caposaldo della storia più recente dell’olimpismo: da Samaranch in poi, due generazioni di dirigenti Cio si sono formate a Losanna attraverso il ricordo ed il culto dei Giochi del 1960, della peculiarità del modello sportivo italiano e dell’unicità del suo indimenticato deus ex machina, Giulio Onesti, non a caso celebrato il 26 maggio 1982 a Roma, in occasione dell’85ª sessione del Cio, come «colui che incarnò una nuova concezione di Sport». Risiede dunque proprio in questa prima suggestione di carattere storico gran parte della forza della nuova candidatura olimpica di Roma per il 2024 – ufficializzata ieri con l’approvazione dell’assemblea capitolina – mentre il cui secondo e fondamentale punto a favore è rappresentato dall’evidente nesso sport-cultura, a suo tempo decisivo per il buon esito della candidatura di Seul 1988, e oggi difficilmente riproducibile dalle nostre rivali, in virtù anche dell’unicità e dell’indiscutibile superiorità storica, artistica e simbolica di Roma. Che tutto questo possa bastare per superare il decisivo esame in programma tra due anni è difficile a dirsi. Sarebbe poi in ogni caso presuntuosamente folle alimentare il sogno olimpico, attingendo unicamente dalla fonte, per quanto inesauribile, delle nostre inarrivabili tradizioni storiche e culturali, incapaci da sole di sopperire in toto agli scandali politici e amministrativi, ai timori di altre possibili vergognose ruberie, e alle note ed evidenti lacune che caratterizzano Roma e l’intero Paese. Attenzione però, per eccesso di autocritica, naturale cupio dissolvi, e incorreggibile provincialismo degli italiani, a non autoaffossarci. Nel Paese in cui tutto o quasi è motivo di nocive divisioni e di troppo facili litigi, occorre dire con franchezza che, ad oggi, il nostro peggior nemico siamo noi stessi e che la candidatura di Roma è oggettivamente forte, sia per ragioni per così dire intrinseche al progetto stesso, cui si è già accennato, sia per fattori esterni.  Ispirare le nuove generazioni attraverso buone pratiche, il valore educativo dello sport e dell’integrazione in particolare è stato il filo conduttore delle ultime Olimpiadi, mentre il creare un ponte tra culture, uomini, modelli di sviluppo tra di loro agli antipodi resta il messaggio più forte dell’eredità olimpica di Samaranch. Ora, alla luce dei fatti più recenti legati ai migranti e delle evidenti criticità del modello laicista ed assimilazionista francese, su cui, dopo l’attentato a Charlie Ebdo, l’intera comunità internazionale è tornata a discutere, sembra piuttosto difficile trovare un’effettiva rispondenza tra l’essenza del nuovo messaggio olimpico e l’attuale realtà parigina. Di fatto impossibile poi è individuarla nella possibile “new entry” delle candidate, Budapest, il cui governo, dopo aver parlato di muri contro l’immigrazione e di sospensione della convenzione di Dublino sui richiedenti asilo, ha dovuto fare marcia indietro, onde evitare l’isolamento e la riprovazione internazionale. Boston e Amburgo, almeno sulla carta, sembrano invece assai più credibili, ma non necessariamente più forti. A nuocere alla prima potrebbero essere infatti il rischio sicurezza e i non proprio eccezionali risultati conseguiti dalla presidenza Obama sul piano della politica estera, mentre a zavorrare la seconda potrebbe concorrere ciò che sulla carta almeno sembrerebbe essere al contrario un punto di forza, vale a dire l’indiscutibile superiorità economica della Germania sulla scena continentale. Proprio nel momento in cui lo sport, con il calcio a tirare le fila, tenta la carta della propria palingenesi, scommettendo sulla riscoperta della sobrietà, della sostenibilità e della dimensione etico-spirituale, immaginare un’Amburgo über alles riesce alquanto difficile.  Roma dunque è in pole-position? Sì, ma di qui al 2017 la corsa è ancora lunga. Forse troppo.
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