A vent’anni dalla morte, la figura di Giuseppe (Peppo) Pontiggia si staglia netta nel panorama della letteratura italiana, ma anche del mondo editoriale del Novecento. È stato infatti uno scrittore e un intellettuale poliedrico, che si può quindi considerare sotto tanti aspetti: come romanziere, collaboratore di giornali e riviste, autore di aforismi, critico letterario, bibliofilo, traduttore di classici, consulente editoriale, conversatore, docente a corsi di scrittura creativa e, non ultimo, per quanti lo hanno conosciuto, indimenticabile amico.
In tutti gli ambiti in cui ha operato ha lasciato un segno e per questo il suo ricordo resta vivo in quanti hanno avuto occasione di leggerlo, studiarlo, ascoltarlo. Se uno passa in rassegna le opere raccolte nei “Meridiani” Mondadori e i numerosi saggi, articoli e recensioni che gli sono stati dedicati – a cominciare da quelli dell’infaticabile Daniela Marcheschi, che ha tratteggiato in tutti i modi la personalità e il valore letterario-stilistico di Pontiggia, pluripremiato maestro della parola e della scrittura –, si rende conto del perché si parli di lui come di una presenza che non si cancella.
Dal romanzo breve La morte in banca – pubblicato nei “Quaderni del Verri” nel 1959 – a Prima persona, pubblicato nel 2002 come riscrittura e ampliamento di testi impareggiabili usciti sul supplemento culturale del “Sole 24 Ore”, ma anche sul “Corriere della sera”, si riscoprono tutte le forme del piacere di leggere. Non importa poi se uno predilige Il giocatore invisibile (1978) o Il giardino delle Esperidi (1984), La grande sera (1989) o Nati due volte (2000); se resta più affascinato da Le sabbie immobili (1991) o dalle Vite di uomini non illustri (1993). Resta il fatto che le pagine di Pontiggia hanno sempre qualcosa di insolito e coinvolgente, che ti fanno entrare in certi meccanismi narrativi o di scavo interiore, spesso con raffinata ironia, che illuminano realtà, personaggi e costumi di ieri e di oggi, della società letteraria come della società tout court.
Da quel lettore competente e onnivoro che era – quella passione così ben descritta da lui stesso nel secondo racconto dell’Isola volante, e in particolare la sua affinità elettiva con i classici e la storia antica – aveva messo a frutto il bagaglio non solo delle sue letture, ma delle sue esperienze di lettura, che sono quel patrimonio della memoria e dell’anima che uno si porta dietro e che consente anche alla scrittura di allargare lo sguardo, di avere una visione più completa della realtà e di adattarla o trasformarla in nuove esperienze di fantasia, critica o spiritualità.
Del resto, chi ha frequentato la sua vasta biblioteca non si stupisce; notava subito la varietà di interessi che coltivava, con acribia critica e filologica, ma si direbbe anche con avida curiosità e stupore nativo, cioè con un animo sempre aperto alla meraviglia. C’era un po’ di tutto in quella biblioteca: oltre a testi di letteratura, naturalmente, saggi di filosofia delle religioni orientali, di periodi e personaggi di storia del cristianesimo, ma anche di psicologia, archeologia, numismatica, ecc. Così Pontiggia poteva passare senza problemi, con puntuali analisi, alla prefazione di un romanzo, di un saggio su Manzoni o di un’introduzione al Vangelo di Luca (come nell’edizione di I Vangeli pubblicati da Valdonega del 2000 per le cure di Paolo Andrea Mettel).
Personalmente, sono stato anche uno dei numerosi amici con cui scambiava lettere, libri con dedica, aveva incontri in qualche fiera, convegno e riunione. Non posso dimenticare in particolare gli incontri annuali a Milano, fino alla sua scomparsa, come componente della giuria del “Premio Alassio – Un editore per l’Europa”, assieme ad Alberto Cadioli, Armando Torno e Annamaria Gandini, e poi, a settembre, ad Alassio, con la moglie Lucia, per la festa di premiazione; le conversazioni a pranzo che qualche volta facevo con lui al Salone del libro di Torino, con facilmente immaginabili scorribande tra libri ed editori. Per la Fiera del 1999 avevamo anche fatto, in collaborazione con Ernesto Ferrero, una scelta di alcuni suoi saggi sulla lettura e l’avevamo pubblicata in una decina di copie ad personam in una pionieristica stampa digitale fatta da Ibm (Le utopie della lettura). Così come non dimentico il suo grato stupore quando, nel 2002, gli dedicai – facendo in particolare riferimento nella dedica a Le sabbie immobili – una mia edizione delle Massime di La Rochefoucauld, gran maestro di tutti gli scrittori di aforismi e “forme brevi” di cui Gino Ruozzi, altro suo amico, potrebbe parlare da par suo: incontro denso di scambi di vedute e di riflessioni sue illuminanti.
Insomma, piccole annotazioni per uno scrittore che rimane anche lui un “contemporaneo del futuro”.