Possenti: «Nel caos della civiltà torna il personalismo»
In un nuovo saggio, il filosofo amplia e aggiorna la tradizione italiana del filone di pensiero sorto in Francia: «Agita drammi e cerca di rispondere alle sfide antiumane»

«Ampliare e aggiornare il quadro della tradizione personalista del nostro Paese, dotato di un passato ragguardevole e fecondo». Questo è l’obiettivo che si è dato Vittorio Possenti nell’approntare Il personalismo italiano. Dal secondo Novecento ad oggi (Mimesis, pagine 418, euro 30,00), il volume che ha curato assieme a Claudio Ciancio e Giorgio Rivolta per la collana che “Persona al centro. Associazione per la filosofia della persona” ha aperto da alcuni anni. «Abbiamo inserito nuovi autori e problematiche, che in genere non compaiono negli studi sul personalismo italiano sinora noti. Questi perlopiù si sono rivolti ad autori operanti nel primo sessantennio del ’900, certo da non tralasciare in quanto antefatto per quanto verrà dopo di loro, ma da ampliare robustamente per render conto dei molti sviluppi intervenuti. Non si è voluto produrre una sorta di lessico personalista, ma esplorare il contributo di numerosi autori (sono 27 tra scomparsi e viventi), evidenziandone gli apporti peculiari. Da decenni, con il moltiplicarsi delle sfide portate all’essere umano, il quadro del personalismo si è allargato a dismisura (biotecnologie, informatica, robotica, IA, trasformazione del lavoro). Un’ispezione discernente su come quello italiano abbia fatto fronte al nuovo contesto, in cui la labilità caotica della civiltà contemporanea mette a rischio il singolo e la vita comune, diventa indispensabile per manifestare la vitalità di una scuola di pensiero», dice Possenti.
Che cos’è il personalismo?
«Il termine ha avuto fortuna sin da quando Charles Renouvier lo “inventò” nel 1903, e da allora è stato molto usato e perfino inflazionato. Ma al netto degli abusi e del richiamo talvolta verbale ad esso, il personalismo è un pensiero che si impernia su un’idea alta della persona umana, e si mostra indispensabile in un’epoca in cui l’essere umano è posto in questione nelle modalità più varie e ambivalenti. Nel personalismo si esprimono attenzioni e problematiche in rapporto alla straordinaria velocità di cambiamento della storia. Entro il suo quadro convivono le diverse modalità con cui l’idea di persona viene elaborata entro tradizioni plurime. Esistono perciò vari personalismi, anche notevolmente differenziati, che però assumono la persona come centro e prospettiva privilegiata. Apertura metafisica e vocazione storica possono tenersi per mano e cooperare senza stabilire a priori un unico paradigma».
Quali sono le provenienze filosofiche e culturali principali del personalismo italiano?
«Le scuole del personalismo italiano sono in parte di origine endogena: spiritualisti, tomisti, ex gentiliani, esistenzialisti, fenomenologi. Altre provengono in specie ma non solo dalla Francia: Jacques Maritain, Emmanuel Mounier, Maurice Nédoncelle, Paul Ricoeur, senza dimenticare una traccia tedesca (Martin Buber, Max Scheler, Edith Stein, Robert Spaemann). Il personalismo italiano si riconosce in vari padri fondatori, tra cui Luigi Stefanini, Giorgio La Pira, Michele Federico Sciacca, Luigi Pareyson, Felice Balbo. Esso è stato originariamente cristiano, e ha cercato di rimanere radicato nel suo terreno di elezione. Fortunatamente sono tuttora attive nell’università italiana diverse scuole di personalismo che esercitano un influsso positivo, aiutando a fronteggiare l’intensità delle nuove domande e sfide che avanzano a valanga. Continuo è lo stimolo ad allargare e approfondire la realtà della persona, problema inesauribile e mistero senza fondo».
Come si connettono personalismo e dignità della persona?
«Il personalismo viene prima, in quanto fonda il tema della dignità della persona. Tale nozione rischia in un numero crescente di casi di essere verbale, per la settorializzazione e perfino l’esplosione del concetto di persona nelle direzioni più varie. È evidente che il significato di “dignità della persona” poggia sul significato di “persona”».
Perché nascono i personalismi del XX secolo?
«I personalismi, in prima battuta qualificati dalla loro elaborazione concettuale sulla persona, sono quasi tutti nati da sfide storico-reali da fronteggiare. Se il personalismo è comunitario si volge contro l’individualismo acceso che riduce la vita sociale a una sommatoria di monadi, ma può altrettanto bene fare i conti con il materialismo marxista e con la crescente riduzione naturalistica e scientistica dell’essere umano. Successivamente si è imposta la questione bioetica e poco dopo quella cibernetica. Esse stimolano a ri-prendere l’idea di persona per farle esprimere il suo massimo rendimento teoretico e pratico».
Come valutare l’incidenza del personalismo italiano nel contesto filosofico e culturale contemporaneo?
«Osservando le vicende concrete, il personalismo italiano ha positivamente influito nell’ambito sociale e politico (persona, comunità, bene comune, Costituzione, formazioni sociali intermedie), in quello bioetico, in quello della cura. In ambito pedagogico l’esito non sembra esser stato soddisfacente. Per ora è abbastanza presto per valutare il suo impatto sulla questione dell’IA e dell’ecologia. L’incidenza del personalismo nostrano richiede di essere presenti in maniera efficace e ben fondata nel dibattito accademico e in quello pubblico non momentaneo. Bisogna essere presenti anche se magari si soccombe, perché l’esserci stati non si cancella mai. E non dimenticare che la bontà di un’idea o di una soluzione deve mettere in conto la durezza del concreto, dove oggi sotto l’insegna della volontà di potenza della tecnica, del venture capitalism e del desiderio di profitto non lasciano respiro. Non sono i personalisti che scelgono il terreno di confronto, spesso imposto dalle urgenti congiunture dell’epoca. Se il personalismo possa produrre una modificazione dello stato attuale del mondo e delle sue palesi ingiustizie rimane una domanda aperta. Sinora manchiamo di una filosofia personalista della storia; quelle che si sono imposte nella modernità si sono inchinate alla scienza-tecnica e allo “spirito del mondo”».
Come dipingerebbe la situazione spirituale del personalismo odierno?
«Il personalismo non è stato “inventato” per essere una filosofia confortevole che indica alla persona un futuro di gloria, capace di rendere agevole la pursuit of happiness: questa semmai è la versione liberal o neoilluministica del personalismo, in cui in genere latita un’attenzione, drammatica sino ai limiti del tragico, alle contraddizioni dell’esistenza, alla morte, alla colpa, alla natura religiosa dell’essere umano. Nel personalismo autentico è inscritto tanto il sentimento drammatico del rischio di vivere, quanto il primato dell’esistenza reale, che certo conduce verso questioni etico-politiche dell’attualità, ma che non può ridurvisi. Sebbene il personalismo sia posto in questione da uno scetticismo diffuso nei confronti del pensare filosofico e da un secolarismo aggressivo, confido in una sua permanenza. Sono passati oltre 40 anni da quando Ricoeur dichiarava: “Muore il personalismo, ritorna la persona”. Il personalismo cui egli alludeva era quello francese degli anni ‘40 e ‘50 e segnatamente quello di Mounier e in certo modo di Esprit. La formula di Ricoeur ha avuto molto successo ma è ormai superata. Meglio dire: “Ritorna la persona e ritorna il personalismo”. Essi ritornano per fronteggiare i rischi attuali di postumanesimo o di antiumanesimo, che emergono quando si idolatra il mercato, l’onnipotenza della tecnica, la ricerca del potere per se stesso o per dominare l’altro. La condizione necessaria affinché vi sia un futuro per il personalismo è che non si affermi l’antiumanesimo in cui scompaiono i volti; e che la persona sia intesa come una sostanzialità spirituale che emerge al di sopra della natura e della materia, portando in sé una promessa di immortalità».
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