Pablo d’Ors: «La mia via poetica e mistica alla meditazione»

L’autore spagnolo propone una sua versione dei “Racconti di un pellegrino russo”
October 31, 2025
Pablo d’Ors: «La mia via poetica e mistica alla meditazione»
Lo scrittore spagnolo Pablo D'Ors / Album / Archivo Abc / Ignacio Gil
Anticipiamo la conclusione del Breve saggio sulla devozione che lo scrittore spagnolo Pablo d’Ors pospone alla sua versione dei Racconti di un pellegrino russo. Il dittico compone il volume Devozione, che esce oggi per le edizioni Vita e Pensiero (pagine 160, euro 17,00; traduzione di Massimo Marini).
«Caino e Abele si ritrovano millenni dopo l’Eden. “Come stai?” chiede Abele a Caino. “Non ricordi che ti ho ucciso?” gli risponde questi. “No” replica il primo “ma ricordo che sei mio fratello”». A mio giudizio, nessuna storia riassume meglio di questa in cosa consiste il cammino spirituale. Si tratta di un racconto di Borges, intitolato Leggenda, che mi sono permesso di parafrasare in alcuni dei miei discorsi. Perché ciò che finisce per scoprire chi coltiva la luce è che esiste solo questa (la fraternità), mentre tutto il resto viene cancellato (l’assassinio). Detto in parole più poetiche: le nubi passano, il cielo rimane. Questo è il punto d’arrivo di una vita nello Spirito.
Per me non esiste regalo migliore di un libro scritto con sapienza e amore. Gli occhi dell’eterno fratello di Stefan Zweig, per fare un esempio; o Tentazione di János Székely, altro esempio; o Stoner di John Williams – forse il romanzo che ho raccomandato più volte – sono stati per me tesori inestimabili, come anche, sebbene su un altro piano, gli aforismi di Tracce di cammino di Dag Hammarskjöld; Il canto degli uccelli di Anthony de Mello; Introducción a la vida angélica di mio nonno, Eugenio d’Ors, che cito qui per contribuire a far sì che finalmente gli venga resa giustizia. La mia versione dei Racconti di un pellegrino russo,  alla stregua di questo Breve saggio sulla devozione che la segue, li pubblico – è ovvio – confidando di suscitare in qualche lettore qualcosa di simile a ciò che questi autori e i loro libri hanno risvegliato a suo tempo in me. Ma anche per offrire – forse sarà una pretesa eccessiva – il libro nel quale io avrei voluto imbattermi quando avevo vent’anni e cominciavo il mio cammino.
Con ciò vorrei dimostrare, principalmente, come l’esperienza spirituale sia essenzialmente la stessa in qualunque epoca e luogo. Sebbene molti non vogliano nemmeno sentirne parlare, questo significa che la vita interiore dei mistici cristiani è sostanzialmente uguale a quella dei mistici sufi, degli yogi dell’Himalaya o dei buddhisti illuminati, solo per fare qualche esempio. Ma indica anche che nemmeno tra l’esperienza interiore di Paolo di Tarso, Agostino d’Ippona, Ignazio di Loyola o Charles de Foucauld – e mi limito a citare quattro titani della fede –, ci sono, in sostanza, tante differenze. Questo è importante, poiché costituisce il fondamento di un autentico dialogo interreligioso e anche perché permette che un mistico di oggi possa considerare un mistico di qualunque epoca passata, appartenente alla sua stessa tradizione o a un’altra, come un vero fratello. Nel mondo dello spirito non ci sono frontiere, l’assenza di confini è tipica della spiritualità.
L’inclusione come criterio di verità governa ciò che chiamo “meditazione integrale”. Questa espressione raccoglie l’essenziale della mia proposta per quanto riguarda la crescita personale e la coltivazione dell’interiorità. “Meditazione”, perché il luogo in cui si realizza è nel contesto di quell’esercizio della quiete e del silenzio che chiamiamo meditazione. E “integrale” in un duplice senso. Primo: perché propongo di integrare tutti i saperi riferiti all’autoconoscenza di altre tradizioni spirituali nella propria tradizione madre, nel mio caso il cristianesimo. Detto più semplicemente: tutto ciò che vi è di vero, bello e buono nell’umanità, da qualunque luogo esso provenga, mi interessa e può arricchire il mio personale punto di vista. E secondo: perché propongo che il lavoro interiore, proprio della meditazione, abbracci tutte le dimensioni dell’essere umano, quella corporale, l’emotiva, la cognitiva e la contemplativa.
Questo Breve saggio sulla devozione è stato scritto – com’è evidente – a partire da tale prospettiva, ed è così che si scopre fino a che punto la vera spiritualità non conosce frontiere. Anzi: che una caratteristica tipica della spiritualità è proprio quella di includere rispettosamente frontiere e peculiarità di ciascuno, ma anche di trascenderle.
Il fascino che i Racconti del pellegrino russo continuano a esercitare oggi in tanti lettori – malgrado la lontananza che ormai ci separa nel tempo e nello spazio – risiede, senza dubbio, nella personalità del protagonista, un innamorato di Dio, senza Il Quale non si concepisce. Forse ci sarà chi lo accuserà di essere un’anima candida o un sempliciotto, simile al famoso personaggio del soldato Švejk, ma in positivo; o una specie di nuovo idiota, nello stile del famoso personaggio di Dostoevskij. Ma sarebbe un errore: il nostro pellegrino non è affatto uno stupido, né ha un deficit cognitivo; è piuttosto uno di quei folli di Dio che, per essersi liberati dal peso dell’approvazione sociale, si potrebbero assimilare a quelli che in una determinata occasione Gesù stesso ha elogiato, assicurando che solo a chi era come loro, saggi e semplici, appartiene il Regno dei Cieli.
La cosa più probabile è che noi che ora leggiamo le peripezie di questo contadino russo non ci identifichiamo né con le sue tribolazioni, estranee alla nostra frenetica vita, né col suo temperamento, forse troppo ingenuo per la nostra raffi nata sensibilità. Perché tutti noi siamo, probabilmente, più complicati, e le piccole storie di cui ci rendiamo protagonisti sono
– ci giurerei – molto più turbolente. Tuttavia, se questo personaggio arriva a toccarci è perché nel fondo, anche se molto in fondo… gli somigliamo! Sì, anche noi sappiamo, o almeno intuiamo, che la preghiera è in fin dei conti la cosa più importante di tutte. Anche noi peregriniamo, ciascuno nelle circostanze che gli sono proprie, in cerca di ciò che è più genuino.
E anche noi, apprendisti mistici e poeti, intuiamo che la partita sostanziale si gioca dentro di noi e, di conseguenza, la pienezza cui aspiriamo è qui e ora. È mio desiderio che questo piccolo libro sia per molti, come lo è stato per me, una porta, modesta ma definita, verso quel regno interiore dove ci attende ciò che realmente siamo.

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