Il vuoto di Pistoletto è uno spazio per l'incontro

Alla Villa Reale di Monza il lavoro dell’artista sull’intersezione tra arte e religione come destino comune
October 31, 2025
Il vuoto di Pistoletto è uno spazio per l'incontro
Il “Terzo Paradiso” di Michelangelo Pistoletto nell’installazione di Villa Reale a Monza / foto Marco Beck Peccoz
La ricerca del maestro Michelangelo Pistoletto — dai Quadri specchianti alla Venere degli stracci, fino al Terzo Paradiso — giunge a un confronto serrato con la religione. L’arte contemporanea, immersa in una costellazione di tecnologie, mercati e linguaggi iper-razionali, rischia di essere specchio di un mondo saturo di immagini, ma vuoto di simboli: una sorta di pianura infinita senza più varchi verso l’altrove. Ciò che manca non è certo la proliferazione dei segni, ma la possibilità di attraversarli, di aprirli a un senso ulteriore.
L’arte contemporanea – perso il committente tradizionale, cioè la religione – non può rinunciare a cercare un linguaggio che dica l’oltre. Il rischio è che si chiuda in un loop estetico, autoreferenziale, o diventi un’appendice del mercato, incapace di esprimere quella “eccedenza” che è propria dell’esperienza estetica autentica. Ecco allora perché l’arte può tornare a bussare alle porte della religione, anzi delle religioni. E tutto questo in un tempo segnato da fratture profonde spesso ammantate da motivazioni religiose, da conflitti latenti e da accelerazioni globali che mettono alla prova la tenuta delle società.
È proprio in questo contesto che nasce la proposta della «Tavola Interreligiosa per la Pace Preventiva fondata sull’Arte» ispirata da Michelangelo Pistoletto, un documento concettuale e operativo in 10 punti che non solo definisce una visione, ma inaugura una prassi. Al cuore di questa proposta – elaborata insieme a esponenti dell’induismo, dell’ebraismo, dell’Islam e del cristianesimo, e della quale io stesso sono firmatario – si trova una convinzione radicale: che l’arte, nella sua essenza creativa, immaginativa e simbolica, possa essere lo spazio comune in cui le religioni si incontrano per generare un futuro condiviso. L’arte come strumento di dialogo interreligioso, dunque. Non una semplice tregua tra differenze, dunque, ma un’officina viva e vivace di co-creazione.
Nel dialogo che ho avuto con Pistoletto – iniziato nel febbraio 2022 e poi raccolto nel volume Spiritualità (Marsilio) – il maestro aveva affermato la religione come tema del suo pensiero e della sua arte nella prospettiva della «pace preventiva». Il suo successivo incontro con esponenti religiosi ha generato un gesto audace: trasformare la pace da ideale politico a opera d’arte. Non una tregua tra differenze, ma un laboratorio di coesistenza creativa. La materia prima non è la diplomazia, ma l’immaginazione.
Alla base del progetto è la Formula della Creazione, simbolo che attraversa l’intera opera di Pistoletto: due cerchi opposti che interagiscono generando un terzo, ellittico. È la Trinamica: dinamica di tensione e incontro tra polarità che non si annullano, ma si fecondano. Un principio che vale per la fisica come per la teologia, per l’arte come per la vita. Nella “Formula” l’artista vede la possibilità di una nuova genesi: quando due elementi si toccano, nasce un terzo spazio — quello dell’incontro, del dialogo, del possibile.
Questa visione ha radici lontane. Nei manoscritti giovanili del 1957, Pistoletto ventiquattrenne già meditava sull’anima e su Dio come energia diffusa, immanente al mondo: “Dio è dentro e fuori dalle cose perché energia eterna nel tempo, inesistente e onnipresente nello spazio”. È una definizione che sembra anticipare la sua futura concezione del “vuoto fertile”: Dio non come presenza solida, ma come campo di possibilità, come energia generativa che abita la materia e la attraversa.
La stessa tensione ritorna pienamente nell’esposizione alla Reggia di Monza. Il progetto “UR-RA – Unity of Religions – Responsibility of Art” è promosso e prodotto dal Consorzio Villa Reale e Parco di Monza e dalla Cittadellarte Fondazione Pistoletto, e curato con grande competenza filologica e di visione dal prof. Francesco Monico. Si apre il 1° novembre 2025 e dura fino al 31 ottobre 2026. L’allestimento si dispiega attraverso gli ambienti della Villa Reale (o Reggia) — dall’Avancorte, con le Bandiere delle religioni poste come segni d’accoglienza; passando per l’Atrio degli Staffieri, dove è ubicata La Pietra dell’Infinito e la Tavola interreligiosa per la pace preventiva, rielaborazione del “Metro Cubo d’Infinito” della serie “Oggetti in meno” (1965-66) — fino alle Sale del Primo Piano Nobile, in cui sono esposte le opere-chiave: Il SacerdoteTempioAnnunciazioneLe trombe del GiudizioTempio a DondoloLa rotazione dello specchioIl codice trinamicoArco spirituale. Infine, nei Giardini Reali, trova spazio un nuovo Terzo Paradiso per Monza, realizzato con cento panchine in materiale interamente riciclato e riciclabile: un grande gesto pubblico di relazione, di cura dell’ambiente e di condivisione.
In questa visione, il vuoto non è assenza ma grembo. Pistoletto lo chiama “vuoto fertile”: spazio di attesa, di potenzialità, di relazione. È un concetto che attraversa la mistica di Meister Eckhart come la fisica quantistica: il vuoto non è niente, ma pieno di energia latente. È la stessa intuizione che, in linguaggio cristiano, si direbbe kenotica: Dio che si ritrae per lasciare spazio all’altro. Nel pensiero dell’artista, questo vuoto è il campo generativo del mondo, il luogo dove tutto può accadere. Un vuoto che non spaventa, ma accoglie.
Quando costruisce il suo Metrocubo di Infinito – un cubo perfetto di sei specchi rivolti all’interno – traduce concretamente questo concetto. Nell’odierna collocazione di Monza, La Pietra dell’Infinito e la Tavola interreligiosa per la pace preventiva riprendono e rilanciano questo dispositivo. “Le religioni sono ridivenute indispensabili per l’arte – afferma Pistoletto – poiché essa adesso ricongiunge l’individuo al mondo. Infatti, religione significa religare, cioè unire, connettere, collegare.”
Ma è possibile rappresentare tutte le religioni insieme, senza ledere la sensibilità di alcuna? Quali simboli, immagini, segni possono essere accettabili per chi proviene da tradizioni figurative o aniconiche, teistiche o non teistiche, narrative o silenziose? La Tavola e i commenti che l’accompagnano affrontano con lucidità questa domanda cruciale.
Certo questa risposta non è nella ricerca di un simbolo “neutro”, ma nella creazione di una grammatica simbolica capace di accogliere l’ambiguità, il silenzio, la differenza. La geometria, il vuoto, la luce, la lettera: sono questi alcuni degli elementi evocati come strumenti espressivi comuni. In particolare, la lettera – parola prima dell’immagine, suono prima della figura – si è imposta come ponte tra le religioni. Dal “Verbo” cristiano alla calligrafia islamica, dall’“Om” sanscrito alla Torah ebraica, il linguaggio scritto e parlato diventa lo spazio condivisibile del sacro.
Da curatore Monico spiega che la mostra è “non un’aggiunta” ma “una traiettoria immanente” nell’opera di Pistoletto: “Già nei lavori giovanili affiora l’interesse per il sacro…”. Per un anno intero, gli ambienti della Reggia — dalla classicità armonica della costruzione settecentesca di Giuseppe Piermarini, all’epoca per l’Arciduca Ferdinando d’Asburgo — ospitano questa esplorazione del contemporaneo, della spiritualità, della responsabilità.
Ecco perché la sua arte non è mai pura contemplazione. È azione, trasformazione, cura. Son da quando, nel 1961, con i suoi Quadri specchianti, ha trasformato l’autoritratto in uno specchio che accoglie il mondo, restituendo all’arte una dimensione collettiva e relazionale. L’opera è diventata spazio di partecipazione, in cui ogni persona è protagonista insieme all’artista. La Tavola interreligiosa è un invito ad agire insieme attraverso l’arte, nei luoghi della vita: scuole, ospedali, periferie. Il suo scopo non è rappresentare l’unità, ma generarla. E lo fa con gli strumenti più umani che abbiamo: la forma, la luce, la parola.
Nel tempo della frammentazione e dell’eccesso di immagini, Pistoletto ci costringe a uno sguardo diverso: specchiante, silenzioso, relazionale. Ci ricorda che la spiritualità non abita le formule ma gli spazi di relazione. Ed appare chiaro anche da una singolare dichiarazione artistica di Pistoletto su Instagram – luogo performativo – nel quale il 22 ottobre si rivolge a Papa Francesco come «fratello in Arte» e definisce la sua croce pettorale «paesaggio spirituale».
Alla fine, l’arte di Pistoletto non cerca Dio, ma apre varchi in cui Dio può essere incontrato. È un’arte dell’«affaccio», come lui lo definisce: guardare fuori da sé per lasciarsi attraversare dall’altro. Un gesto che oggi, in tempi di chiusure e paure, è di per sé un atto di pace. Non perché prometta un paradiso, ma perché ci insegna a desiderarlo e – per quel che ci è possibile – a «edificarlo».
 
Antonio Spadaro
 
 

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