Dunne: «Il dialogo è l’antidoto al male del mondo»
La scrittrice irlandese: «Sì, continuo a credere nel suo potere trasformativo. Nessun problema si risolve con il silenzio»

Non è un caso che la scrittrice irlandese Catherine Dunne sia l’ospite d’onore dell’edizione di quest’anno dello Humanities Festival di Macerata, il cui tema centrale è “La forza del dialogo”. Quando ci risponde dalla sua casa di Dublino, Dunne ha appena finito il suo lavoro di curatrice di un’altra rassegna – quella della letteratura italiana e irlandese organizzata dal Trinity College e dall’Istituto italiano di cultura di Dublino -, ennesima testimonianza del profondo legame che la lega al nostro Paese e dei ponti culturali che negli anni è riuscita a creare tra l’Irlanda e l’Italia. «Sono entrambe nazioni di narratori, accomunate da una profonda attenzione alla letteratura e anche da una storia di migrazioni che nei secoli passati ha visto incontrare spesso le nostre comunità», ci dice. Da sempre apprezzata per la sua scrittura intimista, profondamente sensibile e umana, nei suoi romanzi Catherine Dunne ha esplorato a fondo le dinamiche familiari, le relazioni interpersonali e l’identità femminile, spesso dal punto di vista di donne comuni alle prese con crisi, cambiamenti e rinascite. L’ha fatto nella consapevolezza – come dice il personaggio del suo romanzo La metà di niente, che «niente migliora mai con il silenzio» - e che il miglior modo per rompere quel silenzio è impegnarsi nel dialogo.
A Macerata parlerete proprio di quello. È convinta che sia l’antidoto ai problemi di un mondo sempre più polarizzato e chiuso all’ascolto?
«Sì, continuo a credere nel potere trasformativo del dialogo. Essendo nata in Irlanda negli anni ‘50 e avendo attraversato decenni di straordinari cambiamenti, sono convinta che nessuno dei problemi che ci troviamo ad affrontare oggi possa essere risolto con il silenzio. Dal mio punto di vista di scrittrice, penso che nessuna opera letteraria possa nascere senza un dialogo iniziale con sé stessi, per scoprire cosa si sente e cosa si pensa di fronte a una determinata situazione. E che la letteratura, essendo fatta di racconti su altre persone e altri modi di vivere, sia un modo per aumentare l’empatia di cui abbiamo bisogno. Dobbiamo essere in grado di ascoltare punti di vista differenti senza metterli a tacere. Mi rattrista il fatto che ci siano sempre meno occasioni di dialogo, che tutti vogliano soltanto esprimere il proprio punto di vista e raccogliere sostenitori senza ascoltare le posizioni degli altri».
In molti suoi romanzi emergono i temi dello sradicamento e della migrazione. Come vede oggi il fenomeno delle nuove ondate migratorie in Europa?
«Venendo da una piccola isola che oggi ha una diaspora e una popolazione di quasi 70 milioni di persone al di fuori dei propri confini, capisco perfettamente perché tante persone siano state costrette a lasciare questo paese. Guardando agli ultimi due secoli, ma anche al Secondo dopoguerra, gli irlandesi dovrebbero comprendere in modo viscerale la necessità dell’emigrazione, e come siamo stati accolti - o non accolti - nei vari paesi in cui siamo andati. Invece oggi non viene riservato lo stesso tipo di accoglienza a chi arriva nel nostro Paese. Di recente ci sono stati episodi di forte intolleranza verso gli immigrati nel Nord dell’Irlanda. È colpa di una retorica facile e pigra, quella dell’“invasione”, che non corrisponde affatto alla realtà. La popolazione migrante, stando ai dati ufficiali, rappresenta meno del 2 percento della popolazione irlandese. Si tratta di una paura strumentalizzata a fini politici dai nazionalisti. Il nostro dovere, invece, è quello di prenderci cura delle persone che arrivano da noi terrorizzate, da paesi devastati in ogni parte del mondo».
Perché queste narrazioni deviate attecchiscono sempre di più?
«La disinformazione e le fake news trovano un terreno fertile soprattutto a causa dei social media, che ormai sono fuori controllo. Dobbiamo intervenire per limitarne l’impatto sull’opinione pubblica, prima che sia troppo tardi, perché stanno condizionando con forza anche la dinamica democratica».
In quello che è forse il suo romanzo di maggior successo, La metà di niente, la crisi familiare si apre a tematiche sociali più ampie. Quali sono oggi, secondo lei, le fratture più significative nelle relazioni familiari contemporanee?
«Il tema davvero cruciale, con cui tutte le nostre società dovrebbero fare realmente i conti è la violenza di genere, sia all’interno della famiglia che al di fuori. Ormai è una sorta di epidemia. È uno di quegli aspetti della vita che per lungo tempo sono stati soffocati dal silenzio. Prima non se ne parlava, perché in qualche modo le donne si facevano carico della vergogna, quando invece a vergognarsi deve essere solo chi esercita la violenza. Adesso abbiamo iniziato a parlarne di più, ma non è mai abbastanza. E credo che, ancora una volta, si torni al problema della disinformazione indotta dai social media. Un’altra grande difficoltà che i genitori di adolescenti si trovano ad affrontare oggi è la visione estremamente riduttiva e distorta che molti ragazzi hanno delle ragazze — e questo deriva in gran parte dall’accesso alla pornografia, resa fin troppo facile dal mondo di internet».
Alcuni personaggi dei suoi libri affrontano il tema della perdita. Qual è il suo rapporto con il concetto di memoria collettiva?
«Quella del mio Paese, l’Irlanda, porta con sé da sempre l’ombra della colonizzazione. È una parte integrante fondamentale della nostra memoria collettiva che è stata segnata da eventi traumatici, penso ad esempio alla Grande carestia della metà del XIX secolo. Oggi ci consente di guardare con maggiore sensibilità ad altre carestie provocate dall’uomo nel mondo contemporaneo, come quella di Gaza. Anche noi disponevamo di cibo in quantità, ma eravamo sotto la giurisdizione dell’Impero Britannico e veniva esportato tutto in Gran Bretagna mentre la nostra popolazione moriva di fame».
Sta lavorando a un nuovo romanzo?
«Sì, ma penso che per finirlo mi ci vorranno ancora tre anni. Quando scrivo mi piace farlo con calma. Non sono mai stata un’autrice che fa uscire un romanzo all’anno. Ho cominciato un nuovo progetto appena l’anno scorso, e al momento sono appena all’inizio della prima stesura».
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