martedì 14 settembre 2021
Il santo cistercense accompagna Dante nell'ultimo tratto del Paradiso. Dante lo conosce bene: tutto l'Inno alla Vergine è intriso dei testi di Bernardo di Chiaravalle
La candida rosa nell'illustrazione di Gustave Doré per il XXXI canto del Paradiso di Dante

La candida rosa nell'illustrazione di Gustave Doré per il XXXI canto del Paradiso di Dante

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Si conclude oggi, in coincidenza con i 700 anni della morte di Dante Alighieri, avvenuta nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321, il percorso proposto da Carlo Ossola attraverso i personaggi della Commedia.

San Bernardo appare d’improvviso, al canto XXXI, mentre Dante con «mente sospesa» cerca Beatrice: «Uno intendëa, e altro mi rispuose» (v. 58). Lo sgomento del pellegrino: «E “Ov’è ella?” subito diss’io » trova un’immediata risposta che impegna e orienta, per questi ultimi canti: «Ond’elli: “A terminar lo tuo disiro / mosse Beatrice me del loco mio» (vv. 65-66); la fedeltà a Bernardo sarà ad un tempo fedeltà a Beatrice e compimento di sé, in una perfetta circolarità d’amore e di coscienza, di coscienza d’amore: «E io ch’al fine di tutt’i disii / appropinquava, sì com’io dovea, / l’ardor del desiderio in me finii» (XXXIII, 4648). Potremmo anzi dire – lo conferma la terzina che segue – che l’epilogo della Commedia si presenta come una adequatio amoris et intellectus, un amore che colma e adempie la comprensione precedendola: «Bernardo m’accennava, e sorridea, / perch’io guardassi suso; ma io era / già per me stesso tal qual ei volea» (XXXIII, 49-51).

La comprensione è, al sommo, pura manifestazione e illuminazione divina: «ché la mia vista, venendo sincera, / e più e più intrava per lo raggio / de l’alta luce che da sé è vera» (vv. 5254). Uno dei versi più belli di tutta la Commedia: «l’alta luce che da sé è vera » è, nel suo fondo, calco giovanneo, eco di quel mirabile prologo: «Erat lux vera, quae illuminat omnem hominem, veniens in mundum» ( Jo, 1, 9): quella luce, nella sua plenitudine, si effonde su tutta l’umanità. E questa è forse la ragione per la quale Dante si fa abbandonare da Beatrice, dalle tracce di una memoria personale, per fare del suo poema, attraverso san Bernardo, una speranza universale, preparata - sono ancora le parole dello stesso Bernardo - da colei che, a sua volta, illumina l’universo: «Ipsa est igitur nobilis illa stella ex Jacob orta, cujus radius universum orbem illuminat, cujus splendor et praefulget in supernis» [“La Vergine è l’illustre stella nata da Giacobbe, il cui raggio illumina tutto l’universo, e il cui splendore rifulge nei cieli”] (san Bernardo, De laudibus Virginis Matris, Homilia II, in PL, 183, 70C).

Meglio si spiega, così, anche l’incipitaria preghiera alla Vergine: quei versi non sono prologo che nell’esaudimento venga superato, ma proprio come nel Vangelo di Giovanni - ricapitolazione rivolta all’umanità intera: «tu se’ colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che ’l suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura» (XXXIII, 4-6). Dante è il vertice dell’umanesimo cristiano, in seno alla Vergine facendo sbocciare ogni creatura: «Vergine Madre, figlia del tuo figlio, / Umile e alta più che creatura»: l’invocazione di san Bernardo inizia con due vertiginosi paradossi, dei quali Erich Auerbach ha illustrato la fioritura.

Ma l’origine stessa è nelle Homiliae di san Bernardo, ove la Vergine è presentata in un crescendo di antitesi: «Ora mi rivolgo al nascituro e al parto verginale [...] E lì si manifesta una estensione tutta raccolta, una latitudine minuta, un’altezza umile, una profondità trasparente. Lì brilla una luce che non folgora, un Verbo che tace, un’acqua assetata, un pane affamato» (“ibi agnoscitur longitudo brevis, latitudo angusta, altitudo subdita, profunditas plana. Ibi agnoscitur lux non lucens, verbum infans, aqua sitiens, panis esuriens” ( De laudibus Virginis Matris, Homilia II. In Luc. I, 26, 27, in PL, 183, 65B). Tut- ta la preghiera, soprattutto, è intessuta di citazioni da san Bernardo; il trepido verso: «Così è germinato questo fiore» (XXXIII, 9) riscrive l’«aperta est terra laeta germinans Salvatorem » (ibid., De laudidibus Virginis Matris, Homilia I, in PL 183, 56D) da Isaia, 45, 8: «Si è aperta la terra, lieta facendo sbocciare il Salvatore»; così pure «meridiana face / di carità» (vv. 10-11) è definizione che proviene dallo stesso san Bernardo: «Processit igitur gloriosa Virgo, cuius lampas ardentissima ipsis quoque angelis lucis miraculo fuit» (In Assumptione B. V. Mariae, Sermo II, in PL, 183, 421C).

Ma san Bernardo, a sua volta, non faceva che portare a compimento una tradizione che già in Agostino aveva celebrato, alla lettera, la Vergine «umile e alta» matrice del divino: «Et ipsa nativitas [Christi] humana, humilis et excelsa. Unde humilis? Quia homo natus est ex hominibus. Unde excelsa? Quia de virgine. Virgo concepit, virgo peperit, et post partum virgo permansit» ( Sermo I De symbolo, cap. III, 6; in PL, 40, 630). Così Dante ricapitola, nell’ultimo canto, il percorso millenario della sapienza cristiana, senza fine paradossale: «Excelsa est enim patria, humilis via. Patria est vita Christi, via est mors Christi: patria est mansio Christi, via est passio Christi» (“In alto è la patria, umile il cammino. Patria è la vita di Cristo, via è la morte i Cristo; patria è la dimora di Cristo, via è la passione di Cristo”: Agostino, In Ioannis evangelium tractatus CXXIV, Tractatus XXVIII, in PL,35, 1624).

San Bernardo infine è l’intercessore che si specchia in Maria perché più in alto interceda, e in Dante si compiace quando l’intercessione arride: «Bernardo, come vide li occhi miei / nel caldo suo caler fissi e attenti, / li suoi con tanto affetto volse a lei, / che ’miei di rimirar fé più ardenti» (Par, XXXI, 139-142). Così tutto quell’ascendere del pellegrino e affrettarsi col desiderio non sarà, al culmine, che remissione a chi previene e con larghezza dona: «La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fiate / liberamente al dimandar precorre» (vv. 16-18); davvero «questa è quella madre che genera dentro i nostri cuori Gesù, grazia che previene » (“Haec est igitur mater, quae parit intus in cordibus nostris Iesum; gratia, quae praevenit” (Isacco della Stella, Sermones, Sermo X, in PL, 194, 1725A).

L’ultimo canto della Commedia e quell’inno alla Vergine restituiscono Dante e noi alla letizia che donandosi ci fa ricettacolo e offerta: «Sic pius Dominus, qui omnes homines vult salvos fieri, merita nobis extorquet a nobis: et dum nos praevenit tribuendo quod retribuat, gratis agit» (“Così il Signore, benevolo, che vuole che tutti gli uomini siano salvi, estrae da noi i nostri meriti: e mentre ci previene offrendoci ciò con cui ci remunera, agisce gratuitamente» (san Bernardo, De laudidibus Virginis Matris, Homilia IV, in PL, 183 , 86A). La grande pace dell’essere attraversati dal dono: «Io sono il recipiente. La bevanda è di Dio. E Dio è l’assetato» (Dag Hammarskjöld, Linea della vita).

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