domenica 22 gennaio 2023
Fra tragedia e perdono, per la prima volta in italiano le annotazioni dal vivo della vita degli ebrei ad Amsterdam fra 1942 e 1943 della scrittrice olandese morta ad Auschwitz
La scrittrice Carla Simons nel 1926

La scrittrice Carla Simons nel 1926 - WikiCommons

COMMENTA E CONDIVIDI

«La vecchia e il bambino camminavano lungo l’Apolloterras. Splendeva il primo sole, gli ombrelloni colorati erano stati sistemati accanto ai tavolini invitanti. Il bambino chiese: “Nonna, è vietato agli ebrei?”. La nonna rispose: “Sì”. Il bambino disse con tono sommesso: “Che peccato”, poi continuò a camminare e si mise a correre dietro a un pallone» (aprile 1942). «Davanti a me sfila la truppa dei soldati. Pronti, scattanti, nelle loro grigie uniformi […]. Un grigio ammasso di robot […] Penso: io sono mille volte più libera. Nonostante la mia stella gialla, nonostante le restrizioni e i divieti […]. Come sono mille volte più libera dentro in confronto a questo materiale umano meccanizzato […]. Come utilizzare questa libertà? Ognuno per sé, a modo suo. Come è meglio per noi e per gli altri. Rendendo conto solo a sé stessi e a Dio» (maggio 1942). «Da settimane non scrivo più su questo diario. No, non è solo la “monotona storia degli ebrei di Amsterdam” […]. È la storia delle cose scandalose che vivo per davvero, giorno dopo giorno […]. Gli ebrei vengono ormai portati via con un ritmo talmente rapido che a una scena orribile ne segue subito un’altra» (marzo 1943). Annunciato dall’editrice Contact, alla fine della Seconda guerra mondiale, come il «diario dell’anno più buio della persecuzione degli ebrei ad Amsterdam, testimonianza di una volontà inflessibile di vivere nonostante tutto» e tuttavia mai pubblicato in lingua italiana, arriva in libreria La luce danza irrequieta, il Diario 1942-1943 della scrittrice olandese di origine ebraica Carla Simons. Lo cura Francesca Barresi studiosa del mondo flandro-renano-brabantino anche nei riflessi nella letteratura del ‘900, che ne firma un’appassionata postfazione (Edizioni di Storia e Letteratura, pagine 140, euro 18).

Il volume non è solo – ed è già molto- il racconto in diretta della tragedia consumatasi sotto gli occhi dell’autrice, nello stesso periodo in cui, ad Amsterdam, anche Anna Frank ed Etty Hillesum scrivevano i loro diari. A cristallizzarsi su queste pagine, che si fermano poco prima dell’arresto dell’autrice e - per ordine diretto di Eichmann - della sua deportazione ad Auschwitz dove morirà il 19 novembre 1943, sono le domande e le risposte che scaturiscono dal mondo interiore della Simons. Domande formulate tra paure, dubbi, contraddizioni, e risposte abitate dalla speranza, dal desiderio di vivere, anche in una città ormai irriconoscibile, dove ci sente sprofondare «in una infelice e opaca palude», mentre «tutto fiorisce comunque, anche se il sole è scomparso».

Una speranza che nel diario di questa spettatrice e poi vittima della persecuzione nazista si accompagna a riflessioni inattese non meno toccanti, che provano a stemperare il dolore attraverso la compassione. Pensieri forse condivisi con chi per un po’ riuscì a tenerle lontani i nazisti: Romano Guarnieri, del quale fu allieva e compagna (sì, il padre di Romana, la storica collaboratrice di don Giuseppe De Luca presso il cui archivio oggi all’Istituto Veritatis Splendor presso la Fondazione Lercaro era custodita una copia del dattiloscritto alla base di questa edizione). «Ora davanti a tutti i negozi è appeso il cartello: vietato agli ebrei […]. La gente sta in piedi davanti alla vetrina, con i soldi in tasca, senza poter comprare nulla. All’inizio è stato come uno schiaffo in faccia. Ma i poveri non stanno sempre in piedi con lo stesso aspetto? Non c’è sempre e ovunque per loro un cartello “vietato” sulla carne, sulla frutta, sui fiori? […] Non è forse questa una buona lezione per non dare per scontato che sia così e non altrimenti, per non considerare ovvio l’essere persone materialmente privilegiate? ». Non sono pochi i brani così carichi di sapienza disseminati in questo quadro pieno «di orrore, arresti, retate, follia, suicidi». E tuttavia… Scrive la Simons: «Hedda mi ha detto: “Mai dimenticare quello che ci hanno fatto, mai perdonare “. Ma io non voglio. Come potrei continuare a vivere con un costante senso di vendetta e collera? È per questo che ho letto Dostoevskij?». E ancora: «Perché a tavola Hedda dice ai bambini: Mai dimenticare né perdonare il male che ci viene fatto“, e tutto in me dice: no! Non è giusto, così non arriveremo da nessuna parte!» (ottobre 1942).

Eppure quando Carla scrive queste righe, ai rastrellamenti sporadici si sono già sostituite deportazioni sistematiche e anche lei è quasi certa della sua sorte. Lo sottolinea la curatrice del diario dando risalto al persistere dei suoi richiami al rapporto tra «spiritualità personale e violenza politico-sociale», «la concezione della vita intesa come fulcro del sacro e la persecuzione». Palesati lungo le pagine sino alla conclusione quasi sospesa del diario. Laddove, riconosciute le capacità lenitive della poesia, della musica, dell’arte, nella sofferenza, Carla cita versetti folgoranti del Vangelo di Luca. «In questa mattina di inizio maggio sono in piedi davanti alla finestra aperta. […]. Non so quali amarezze ci aspettano, quale dolce gioia dovrà ancora venire. Ma la pace e la fiducia entrano nel mio cuore, e penso a queste parole: “Ed Egli si separò da loro a circa un tiro di sasso, si inginocchiò e pregò, dicendo: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice, tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà”».

La scrittrice Carla Simons nel 1926 / WikiCommons

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI