venerdì 4 marzo 2022
Domani a Casarsa sarà inaugurata la casa-museo, con una raccolta di dipinti e disegni del periodo ’42-’47, mentre una mostra espone carte inedite del ’69-’72 realizzate sulla spiaggia di Grado
Pier Paolo Pasolini a Grado nel 1970 mentre dispone ad asciugare i disegni appena realizzati

Pier Paolo Pasolini a Grado nel 1970 mentre dispone ad asciugare i disegni appena realizzati - Centro Studi Pier Paolo Pasolini, Casarsa della Delizia

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Difficile trovare nel Novecento una figura più complessa di Pier Paolo Pasolini. Poeta, romanziere, autore teatrale, teorico, intellettuale militante, linguista, regista e anche pittore. Per quanto abbia frequentato la pittura fin dalla giovinezza e forse anche con qualche velleità professionale, quest’ultima è forse la parte meno nota della sua produzione. Pasolini avrebbe disegnato e dipinto per tutta la vita, anche se con diversa intensità: se molto feconda è la fase friulana, gli altri momenti creativi corrispondono soprattutto agli anni ’64-’67 e ’70-’75. In ogni caso non siamo davanti semplicemente al caso non insolito di uno scrittore che si diletta di pittura. La dinamica è più complessa.

Il rapporto con l’arte e la sua storia è noto, a partire dall’amicizia con gli artisti (in primis Giuseppe Zigaina) e dall’uso nei suoi film di tableaux vivants che riprendono la pittura del Quattrocento o l’inquietoPontormo. Una competenza forgiata alla migliore delle scuole: Pasolini fu allievo di Longhi a Bologna.

Non si tratta però di semplice citazionismo. Se si può pensare che abbia trasmigrato più compiutamente l’interesse per la costruzione dell’immagine nel cinema, più in generale appare chiaro che Pasolini ha intuito la singolarità e la centralità dell’elemento visuale nei processi analitici e narrativi (si pensi ad esempio alla complessità fototestuale dell’incompiuto La divina Mimesis), fatto che lo rende oggi ancora più “contemporaneo”.

Il Centro Studi Pasolini di Casarsa della Delizia (Pordenone) ha riallestito Casa Colussi, dove lo scrittore ha passato le estati dell’infanzia e, da sfollato, gli anni della guerra fino al 1950 quando è costretto a fuggire a Roma per l’accusa di corruzione di minore, e nella sala della Accademiuta di lenga furlana ha valorizzato un importante nucleo di dipinti e disegni, realizzati tra 1942 e 1947, nei quali si apprezza la spiccata verve espressionista.

I dipinti di Pasolini allestiti nella sala della Academiuta di lenga furlana, nel Centro Studi Pier Paolo Pasolini a Casarsa della Delizia

I dipinti di Pasolini allestiti nella sala della Academiuta di lenga furlana, nel Centro Studi Pier Paolo Pasolini a Casarsa della Delizia - Centro Studi Pier Paolo Pasolini, Casarsa della Delizia

Se la casa-museo e la piccola ma preziosa pinacoteca inaugureranno domani in coincidenza con il centenario della nascita, è già aperta da qualche giorno per restare visibile fino al 3 aprile la mostra “Pasolini. I disegni nella laguna di Grado”, venti carte (undici provenienti dalla collezione di Zigaina, che dopo la morte dell’amico si premurò di raccoglierne duecento opere, e nove inedite, tra cui un profilo di Maria Callas), tutte nate intorno alle riprese di Medea (1969) e alla Settimana internazionale del cinema di Grado (1970-1972).

Le prime prove di pittura risalgono agli anni 40, insieme agli esordi poetici in friulano. L’amore per la lingua friulana, più che lingua madre una lingua materna (o meglio: una lingua- heimat), appare come una scelta di resistenza: da una parte la pratica del dialetto, in un’epoca in cui già ne era già avviata l’estirpazione, volenterosamente praticata anche dagli stessi parlanti, non è diversa dalla celebre immagine della scomparsa delle lucciole, entrambe sintomi della livella neofascista del capitalismo industriale; dall’altra i dialetti hanno un rapporto radicale con la realtà, non conoscono l’astrazione e hanno una straordinaria potenza plastica.

Colpisce allora il “realismo” della pittura di Pasolini: non per una questione formale – anzi, in questo senso è tutt’altro che realista – ma per una materiale: i dipinti degli anni ’40 sono tutti su carta da pacco o tela da sacco certo per ragioni oggettive (la penuria di materiale pregiato) ma Pasolini ne valorizza la natura rustica, portando in evidenza la grana e l’imperfezione; nei dipinti gradesi invece l’impasto stesso della materia pittorica è costituito dalla realtà stessa. Come infatti osserva la curatrice della mostra Francesca Agostinelli «sulla carta si addensano materiali prelevati dall’intorno: sabbia, conchiglie, fiori conducono ogni opera a una tecnica mista che racconta materialmente il contesto in cui ciascuna nasce».

In questo senso allora si può forse intendere l’appunto di Pasolini pubblicato nel 1974 sulle pagine di “Bolaffi Arte”: «La mia pittura è dialettale: un dialetto come “lingua della poesia”». Dialetto lingua sacra: «Sento ancora, quando dipingo, la religione delle cose».

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