martedì 24 gennaio 2023
La "Regina viarum", candidata a patrimonio Unesco, è oggetto di scavi per stabilire da dove iniziasse. L'ipotesi di Porta Capena è suffragata dalla scoperta dei resti di una strada medievale
Archeologi al lavoro nell'area delle Terme di Caracalla alla ricerca del primo miglio dell'Appia

Archeologi al lavoro nell'area delle Terme di Caracalla alla ricerca del primo miglio dell'Appia - Soprintendenza Speciale di Roma

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Un'immagine degli scavi nell'area delle Terme di Caracalla

Un'immagine degli scavi nell'area delle Terme di Caracalla - Soprintendenza Speciale di Roma

Alla ricerca dell’Appia perduta. Per dare una risposta a una domanda che aleggia da anni nella comunità archeologica: dove cominciava esattamente la Regina Viarum, dove passava il suo primo miglio? Se lo si chiede a un romano di oggi, ci si sentirà rispondere «da porta San Sebastiano», cioè dove parte il tracciato attuale. Ma tra gli studiosi è opinione diffusa che invece partisse all’altezza di Porta Capena, poco prima del Circo Massimo. E che passasse davanti a quelle Terme di Caracalla che per questo sono oggetto da qualche mese (da luglio 2022, dopo i primi lavori avviati nel 2018) di un progetto di scavi della Soprintendenza Speciale di Roma, in collaborazione con l’Università di Roma Tre, che sta dimostrando che l'area era viva e vissuta anche in età medioevale, molto dopo aver ospitato le terme imperiali dell'antica Roma.

E’ bene dire subito che gli scavi fatti finora hanno rafforzato questa sensazione, ma ancora non danno alcuna certezza. A colpire l’attenzione degli studiosi è il ritrovamento dei resti di una strada del X secolo, probabilmente tracciata su una preesistente, e soprattutto quella distanza – 30 metri, ovvero 100 piedi romani – tra le “tabernae” emerse dallo scavo, che vanno più indietro nel tempo fino all’età adrianea, e quelle di epoca severiana realizzate ai tempi dell’edificazione delle Terme. «La misura – spiega Mirella Serlorenzi, direttrice scientifica della campagna – è esattamente quella citata dalla Forma Urbis per la via Nova Severiana, costruita all’inizio del III secolo dall’imperatore Settimio Severo. Se però si sovrapponesse alla via Appia o fosse una sorta di complanare per il deflusso del pubblico, oggi non siamo in grado di dirlo». «Sì, il lavoro ha dato indizi in tal senso - conferma Riccardo Santangeli Valenzani, docente di Archeologia medievale a Roma 3 -, ma ha anche portato alla luce reperti e fornito tante altre informazioni relative alla continuità di vita di questa zona in epoca tardo antica e alto medievale, fino all'inizio del nono secolo d.C.». Prima cioè del periodo dell’abbandono, quando fu trasformata in orti e vigne.

Da san Pietro in fuga ai pellegrini: un'area religiosa

Sono ulteriori conferme alla convinzione che quest’area abbia sempre conosciuto un certo “traffico”. Che riguardava anche la dimensione religiosa: «Ad esempio, probabilmente qui c’era uno xenodochio – racconta la soprintendente Daniela Porro -, cioè una struttura di prima accoglienza per i pellegrini, che all’epoca venivano soprattutto da Sud, appunto lungo l’Appia». Questo spicchio di Roma nella tarda antichità si ammanta, infatti, anche di racconti a sfondo religioso e oggetto di devozione: è da queste parti che Pietro, in fuga dal Carcere Mamertino, prima del “Domine, quo vadis?” avrebbe perso la fascetta di stoffa che gli copriva una piaga alla caviglia, dando vita - come rievoca il professor Daniele Manacorda - al “titulus (così si chiamavano le chiese parrocchiali nella Roma paleocristiana) Fasciolae”, l’edificio di culto che precedeva l’attuale chiesa dei Santi Nereo e Achilleo, che dista non più di 50 metri dalla sede degli scavi in corso.

Stanziati 500mila euro, in gran parte fondi Ue

Nell’anno peraltro della candidatura a patrimonio dell’Unesco di questa antica strada aperta da Appio Claudio Cieco nel 312 a.C. in direzione della Magna Grecia, per avere maggiori certezze sulla collocazione qui del primo miglio dell’Appia servirebbe scavare più in profondità, nel cuore del terreno che oggi ricopre gli strati più antichi: finora si è arrivati a quasi 8 metri, ma la presenza di un’importante falda acquifera, drenata da una pompa continua, impedisce di andare più giù, fino al basolato antico. Almeno con i 500mila euro – in gran parte fondi Ue – stanziati per questa ricerca di scavo. Che ha donato intanto alla città nuovi reperti: spicca una bella testa di fanciullo di età giulio-claudia, poi una lucerna, pedine da gioco, scampoli di mosaico, resti di anfore e perfino una rara moneta quadrata, una delle prime coniate sotto il controllo papale e databile tra il 690 e il 730. Ma anche esempi di ceramica invetriata e residui e scarti di materiale di fusione, che proverebbero la presenza di attività produttive. Inutile, per ora, continuare a scavare. Dopo aver fatto altri “carotaggi” del terreno, si ricoprirà il tutto puntando, afferma Porro, «a valorizzare anche quest’area davanti alle Terme di Caracalla», anche per sottrarla all’attuale stato di semi-degrado. E riportando con sé di nuovo sottoterra il mistero del primo miglio dell’Appia.

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