sabato 26 ottobre 2013
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​«Sono pronto ad aprire la crisi, sono pronto a dire basta alle prepotenze di un Pd che vuole solo farmi fuori. Segnatevi la data: si vota il 16 marzo». Silvio Berlusconi ha gli occhi spiritati. Nella notte continua a disegnare scenari e ipotizzare epiloghi clamorosi: «Elezioni, elezioni. E quel giorno sarà in campo Marina...». Alla stessa ora nei ragionamenti di Angelino Alfano si legano rabbia e amarezza: «Ha chiuso un partito senza il segretario di quel partito. Io ho provato a salvarlo, ma non ce l’ho fatta». Sono ore drammatiche. Ore dove lo strappo sembra irrecuperabile. Letta da Parigi resta in contatto con Roma. Sente Franceschini. Sente lo stesso Alfano. Il premier sa che i due principali partiti che sostengono il governo hanno di fatto un congresso aperto. Sa che Renzi e Berlusconi spingono per votare. E che il governo rischia di pagare un prezzo. Ma, nonostante tutto, si dice pronto alla sfida. Anzi, a tratti, sembra quasi auspicare un chiarimento definitivo. «C’è una maggioranza politica netta e il 2 ottobre al Senato tutti hanno potuto vedere quali sono i rapporti di forza. Non basta. Hanno riprovato a mettere sabbia negli ingranaggi del governo con il voto sulle riforme ma anche in quell’occasione si sono scontrati sui numeri». Il premier è sereno, concentrato sull’attività di governo. «I problemi non aspettano e il banco di prova sarà il Parlamento. Vedremo presto se la maggioranza c’è. Io dico che c’è», ripete quasi senza emozione. Poi con nuove parole dà forza alla sfida: «Sia chiaro: nell’interesse del paese non accetto ripercussioni sul lavoro dell’esecutivo».

Oramai la scissione tra Berlusconi e Alfano pare inevitabile. Forse già prima del consiglio nazionale fissato per l’otto dicembre. Il fronte governativo per ora comunque aspetta e pesa le parole. La tattica si impone e si prova fino a raccontare di una situazione ancora ricomponibile. Si ipotizza una «separazione consensuale»: un partito movimentista con Verdini, Fitto, Santanchè e uno più moderato con i ministri. E lui, l’ex premier, punto di riferimento di entrambi. Ma la verità quando è già notte sembra un’altra. Berlusconi ha messo in moto la macchina puntando sul voto e ha cominciato a delineare il volto nuovo della nuova Forza Italia. «Voglio un partito diverso, giovani, donne, gente pulita non professionisti della politica», ripete lasciando a Giancarlo Galan (uomo Publitalia prima, governatore del Veneto poi e oggi ascoltato e potente consigliere del Cavaliere) il compito di trovare facce convincenti e spendibili.

Dentro quello che resta del Pdl la guerra è già aspra. Daniela Santanchè nelle telefonate più private è aspra: «Alfano? Oggi è un semplice iscritto». All’improvviso l’ala governativa capisce che la strategia va modificata, che l’accelerazione rischia di essere inevitabile, che l’ipotesi di una scissione e di due gruppi parlamentari più vicina. Quagliariello, Lupi, Lorenzin, De Girolamo sono con Alfano. Pronti alla conta. E a far pesare la loro forza al Senato. Oggi – ragionano – i senatori pronti a sostenere il governo sono 27, ma dopo la decadenza di Berlusconi potrebbero crescere. Anche al Colle si guardano le mosse del Cavaliere e le contromosse di Alfano. Napolitano non parla, ma c’è sintonia con Letta: se nel Pdl si fa chiarezza tutto rischia di diventare più facile. Più facili le riforme e magari una nuova legge elettorale e più facile il lavoro dell’esecutivo. Il premier azzarda: Berlusconi vuole la crisi? Beh, vorrà dire che il giorno dopo la maggioranza sarà più coesa. A tarda notte è comunque ancora tutto confuso. Berlusconi riparla di voto: «Renzi e Grillo sono ancora più determinati di me, sarà complicato evitare le urne». E ripete quasi meccanicamente una data: 16 marzo. Ma domani potrebbe essere un’altra storia. Negli ultimi tre mesi il Cavaliere ha abituato tutti a clamorose retromarce e qualcuno scommette che anche questa volta sarà così.

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