sabato 28 settembre 2013
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Nel Pdl le colombe tornano a volare, ma forse è troppo tardi. Il segnale si ha intorno alle 17 quando dalle parti di Palazzo Chigi si rivede l’altro Letta, Gianni, il grande assente di questa escalation dello scontro che ha ridotto i rapporti fra il Quirinale e il Pdl al minimo storico. Ma, di certo, non si rimette in moto il Grande Mediatore senza averne avuto mandato Silvio Berlusconi informandone Giorgio Napolitano, i principali protagonisti di questa complicata vicenda istituzionale sfociata nell’incomunicabilità.Due ore dopo, concluso il vertice a Palazzo Grazioli con Alfano, Cicchitto, Verdini e i capigruppo, ecco anche il "falco moderato" Renato Brunetta adoperare il freno: «Grande determinazione da parte dei gruppi parlamentari nel difendere lo Stato di diritto, difendere il senatore Berlusconi dall’applicazione retroattiva di una legge ingiusta. Ma anche grande senso di responsabilità nel proseguire nell’azione di governo», detta la linea il capogruppo alla Camera, mentre Berlusconi lascia Roma diretto ad Arcore.Più facile a dirsi che a farsi. Come sostenere le ragioni di Berlusconi senza far cadere il governo? Lo ha chiesto Napolitano, se lo chiedono nel Pdl in tanti. Nel partito c’è grande fermento, lo scontro si consuma sottotraccia. Perché nessuno sa che cosa alla fine deciderà davvero Berlusconi, se si fermerà un giorno prima dell’azzardo finale - come in molti dentro e fuori al suo partito sono pronti a scommettere - o se lo scontro precipiterà davvero dal Parlamento in piazza. La scena, per ora è ancora occupata dai falchi, con la manifestazione già indetta a Piazza Farnese, il 4 ottobre, alle 17, in contemporanea alla possibile audizione di Berlusconi in Giunta per le elezioni al Senato. Ma forse il Cavaliere rinuncerà, o forse invierà i suoi legali o una memoria difensiva, accelerando così la corsa verso il voto sulla decadenza, che l’aula poi però dovrà ratificare. E la manifestazione in piazza promossa dei falchi sulla scia delle parole "incendiarie" del leader pronunciate davanti ai gruppi riuniti, sarà l’ultima, estrema pressione sul Pd chiamato a decidere. Il titolo dice già tutto: «Siamo tutti decaduti».Tutti-tutti proprio no. Intanto qualcuno già ufficialmente si sfila, al Senato, dalla promessa di dimissioni. Ma c’è un problema ulteriore imposto dal timing di questa "quasi crisi" che vedrà, prima di ogni altra scelta, probabilmente un voto di fiducia. Nel Pdl prevale ancora l’orientamento di votare a favore del governo. «Dimissioni dei ministri? Allo stato questa ipotesi non esiste», interviene in serata Fabrizio Cicchitto, presidente della commissione Esteri di Montecitorio, a confermare la sensazione che nel Pdl qualcosa si muove. Ci sarà il voto di fiducia? «Ascolteremo Letta con attenzione, vedremo», taglia corto l’ex capogruppo. Ma i gruppi sono attraversati da grandi fibrillazioni. Le perplessità di un gran numero di parlamentari di fronte all’acuirsi dello scontro le spiega un deputato di lungo corso dietro promessa di anonimato: «Si va sul filo del rasoio. Non si capisce ancora che cosa deciderà Berlusconi e le dichiarazioni dei capigruppo sono incomprensibili. Come si può pensare di votare la fiducia, mi chiedo, e il giorno dopo dimettersi in massa? Che senso ha? Qui qualcuno si farà male...». Il nodo è proprio questo. «Un conto è dare la propria solidarietà a Berlusconi - prosegue il ragionamento - un conto è andare fino in fondo a questo gioco al massacro».E così lo psicodramma interno al Pdl emerge in tutta la sua chiarezza. Tacciono i ministri Lupi e Quagliariello che però non hanno fatto mistero di non aver condiviso gli attacchi a Napolitano, prova a mediare Angelino Alfano, ma quello che non era stato messo nel conto è un rinsaldato asse fra Palazzo Chigi e Quirinale sulla linea dura anti-galleggiamento: si va in Parlamento, e ognuno si assumerà le sue responsabilità davanti al Paese. Uno psicodramma che dall’esterno racconta così Paolo Naccarato, uno che conosce bene sia Berlusconi, sia il suo partito: «Nel Pdl c’è un disagio diffuso, un’inquietudine strisciante, le dimissioni rimesse ai capigruppo sono solo una manifestazione di forte solidarietà ma nient’altro. Se Berlusconi dovesse tirare la corda avrà sorprese e delusioni».
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