sabato 7 aprile 2012
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​Il  capo sapeva. Lo dice, senza ricorrere alla prudenza del condizionale, la segretaria particolare di Umberto Bossi. «Io stessa – ammette Daniela Cantamessa, incalzata dai pm di Milano – avevo avvisato Bossi delle irregolarità di Belsito (il tesoriere indagato, ndr) o meglio della sua superficialità ed incompetenza». Non solo, l’aveva avvertito di come «la Rosy Mauro era un pericolo sia politicamente sia per i suoi rapporti con la famiglia Bossi».Parole che verranno rilette a Umberto Bossi quando verrà convocato in procura. La prossima settimana, infatti, si svolgerà un vertice tra i pm di Milano, Napoli e Reggio Calabria. Uno dei primi passi potrebbe essere proprio quello di invitare il senatur, in qualità di testimone, a raccontare cosa lui sapesse delle faccende che stanno venendo a galla e cosa i "grilli parlanti" del partito gli avevano detto.Era stato il dimissionario capo dei lumbard a promettere tre giorni fa di essere pronto a rivolgersi ai magistrati: «Denuncerò chi ha usato quei soldi per ristrutturare la mia casa». A oggi, però, nessun esposto e nessuna richiesta di essere ascoltato sono stati inoltrati a sua firma.C’era dell’altro che l’entourage dei fedelissimi sapeva. Era a proposito del ruolo e della sfera d’influenza di Manuela Marrone sulla tesoreria del Carroccio. «Non nominai a Bossi la moglie – spiega la segretaria ai magistrati – perché mi sembrava indelicato».Quello che emerge è un mondo piccolo, avvelenato da pettegolezzi, intrighi, gelosie, veti incrociati e perfino ricatti. Stavolta è Nadia Dagrada, dirigente amministrativo del Carroccio, a descrivere le nebbie dei padani. «Belsito – fa mettere a verbale la donna – mi ha sicuramente detto di aver registrato un suo colloquio con l’onorevole Bossi, colloquio nel quale aveva “ricordato” le spese sostenute nell’interesse personale della famiglia Bossi con i soldi provenienti dal finanziamento pubblico».A leggere le carte degli inquirenti, dentro e fuori il “cerchio magico” nessuno si fidava più di nessuno. «Non so se Belsito abbia effettuato tale registrazione – precisa Dagrada –. Mi disse di volerla utilizzare come strumento di pressione dal momento che volevano farlo fuori».Negli interrogatori del 3 e 4 aprile scorso, le due donne della dirigenza leghista si mostrano molto loquaci. «Mi si chiede se siano entrati nelle casse della Lega Nord soldi in contante "in nero" – risponde Dagrada ai pm milanesi e napoletani –. Sì, mi ricordo che, alcuni anni fa, l’ex amministratore della Lega Nord, Balocchi, portò in cassa 20 milioni di lire in contante dopo essersi recato nell’ufficio di Bossi». Dagrada individua un momento preciso in cui degenerò la gestione dei conti del partito: «Dopo la malattia del segretario federale Umberto Bossi». È stato quello «l’inizio della fine». Quando la famiglia, secondo i testi, divenne un tutt’uno con il partito. «Il primo errore – spiega Dagrada – è consistito nel fare un contratto di consulenza a Bruxelles (presso l’Europarlamento, ndr) a Riccardo Bossi, se non ricordo male da parte dell’onorevole Speroni. Dopodiché si sono cominciate a pagare, sempre con i soldi provenienti dal finanziamento pubblico, una serie di spese personali a vantaggio di Riccardo Bossi e degli altri familiari».È solo l’inizio di un atto d’accusa tutto al femminile. Daniela Cantamessa, alla quale i pm fanno ascoltare la registrazione di una telefonata con Dagrada, ne spiega così il contenuto: «Confermo che nel corso della conversazione Nadia Dagrada, che io, torno a ripetere, considero una persona fedele al movimento e alla purezza dei suoi intenti, sembrava quanto meno soddisfatta del fatto che avesse suggerito a Belsito di fotocopiarsi tutta la documentazione compromettente». Una mossa considerata necessaria per tutelarsi. E per lasciare traccia «delle malversazioni effettuate», così che un giorno «chi non era stato fedele al partito ne pagasse le conseguenze, e prima fra tutti la Rosi Mauro».
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