sabato 9 giugno 2012
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Nell’orizzonte piatto e indistinto erano come i fari per i naviganti. Non è solo questione d’orientamento. «Lo vedevo da quando sono nato e non ci avevo mai fatto caso, ma adesso il campanile mi manca, e mi mancano anche quelle terribili campane, che ogni notte mi svegliavano e al prete ci mandavo un accidente». Vanni Maccaferri è un emiliano all’antica. Va per gli ottanta. Con quelli come lui i modernismi non attaccano: «Coltivatore diretto», si definisce. Mentre estrae solennemente la vecchia tessera del Pci e con le mani grosse da bracciante disegna il profilo della torre campanaria che non c’è più. Dal suo podere di Poggio Renatico il torrione sovrastato da una croce sbucava in lontananza, in fondo alla distesa di pannocchie delimitate da un frutteto odoroso. «Quando il sole stava là sopra, sapevo che era mezzogiorno». E quando, dopo una giornata a schiena bassa, pedalava sulla via di casa, «guardavo in alto, verso il campanile che si avvicinava e già sentivo il calore della mia famiglia». Sarà per l’età o forse per lo spavento, ma il vecchio “coltivatore diretto”, dopo un giro di lambrusco e una mano di briscola coi compari di una vita, la mette sul religioso: «Quando la mattina esci per andare in cascina e la sera rincasi – filosofeggia con quella cadenza che sdrammatizza anche i guai più grossi –, il campanile all’ora dell’Ave Maria, specialmente nelle sere di nebbia, a modo suo ti costringe a guardare in alto». Tutti i giorni per otto decenni, qualcosa resta: «E lassù vedevo le campane e la Croce». Farne a meno vuol dire stravolgere per sempre un certo modo di guardare alla vita. A Reno Centese e a Buonacompra i tecnici stanno letteralmente smontando le torri, pietra dopo pietra. Il crollo dei campanili potrebbe provocare la distruzione di interi isolati, con un effetto domino che vedrebbe i palazzi storici rovinare gli uni sugli altri. I due borghi sono stati interamente evacuati e nessuno potrà rimettere piede in casa fino a quando le torri non verranno ridotte ad altezza d’uomo. Nel mantovano sono a rischio le guglie campanarie di Schivenoglia, Bondanello, Poggio Rusco, Suzzara, Santa Barbara di Mantova, San Giacomo delle Segnate, San Siro e Palidano. A Reno Centese i cittadini e l’amministrazione invocano però la demolizione. Il campanile, edificato a metà dell’800, svetta per quasi settanta metri. Le quattro gigantesche campane pesano sette tonnellate. «Non possiamo restare in ostaggio della torre», lamentano le decine di sfollati che hanno le case intatte, ma sono stati costretti ad accamparsi fuori dal perimetro del borgo. La sovrintendenza per ora dice no. Sperando che non accada il peggio, in paese ci si affida al patrono Sant’Elia. «Ci sono casi in cui il salvataggio è impossibile – assicura Carla Di Francesco, direttore regionale dei Beni culturali dell’Emilia Romagna –. Altre volte, proprio come a Reno Centese, c’è una soluzione: toglieremo la cella campanaria per blocchi e la riposizioneremo dopo avere consolidato la parte fratturata». Vittorio Sgarbi ha definito uno “scempio” l’abbattimento dei campanili pericolanti, com’è avvenuto a Poggio Renatico. «Queste operazioni non fanno piacere a nessuno – replica Di Francesco al critico –, vorrei che fosse chiaro».C’è chi giura di averle viste oscillare, le torri, mentre da sotto il terremoto provava a disancorarle. Ad ogni scossa un nuovo squarcio. Per alcuni è come subire un’amputazione. Perché tra storia e leggenda i campanili della Bassa raccontano tanto di quel "Mondo piccolo" popolato dai personaggi veraci di Giovannino Guareschi. Nel 1946 Anna ed Evaristo avrebbero voluto che il loro, di campanile, vivesse nei secoli. Lo fecero costruire in memoria dell’unico figlio, morto di polmonite. Era la torre più giovane. È stata la prima a cadere. Sulla porticina d’ingresso campeggiava un’epigrafe con la foto del ragazzo: «Luciano, il tuo babbo la tua mamma s’abbassarono in terra per innalzarti in cielo. A tua memoria ai secoli innalzarono». Era il 7 ottobre 1946 quando Anna ed Evaristo Manservisi inaugurarono il nuovo campanile di Poggio. La guerra era finita. E il domani profumava di speranze. Quando le colonne di tedeschi arrivarono le campane diedero l’allarme. E suonarono a festa quando gli invasori fuggirono inseguiti dai bombardieri alleati. Vanni se lo ricorda, e alle 18 in punto perde la pazienza. Non solo perché ha dovuto farsi prestare un orologio. «A quest’ora avrebbe dovuto suonare l’Ave Maria, invece ’sto paese sembra morto». Il vecchio contadino non lo sa, ma a poche centinaia di metri, dentro a un tendone, ogni sera alle sei i posti a sedere sono esauriti. Con o senza le campane, gli sfollati partecipano alla Messa feriale. E questo, quando c’era il campanile, non succedeva mai.
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