mercoledì 6 gennaio 2016
Ci sono voluti mesi per costruire l’umile Mangiatoia, realizzata con duecento e otto legni provenienti da altrettanti luoghisimbolo sparsi in oltre cento nazioni del mondo... (Lucia Bellaspiga)
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Ci sono voluti mesi per costruire l’umile Mangiatoia, realizzata con duecento e otto legni provenienti da altrettanti luoghisimbolo sparsi in oltre cento nazioni del mondo. E a metterli insieme sono state non mani d’artista ma di 'ragazzi in difficoltà', gli ospiti di Villa San Francesco a Pedavena, comunità veneta che in sessant’anni ha restituito alla gioia di vivere più di seimila giovani. Sono legni arrivati in aereo, a piedi, nelle tasche di viandanti, nella borsa di viaggiatori, spediti da missionari e governanti, donati da vescovi e ambasciatori. C’è il grande leccio di Fatima sotto il quale i tre pastorelli videro la Vergine, assieme al ramo raccolto da dita monche nel lebbrosario vietnamita di Djiring. C’è l’ulivo estirpato in Palestina per far posto al muro di divisione con Israele, e il frammento del giogo appartenuto alla mucca Sum in Mali: l’unica proprietà del minore straniero non accompagnato Idrissa, oggi in Italia. C’è il legno di una lettiga per i morti e i feriti della Grande guerra, ma c’è anche il ramo dell’ulivo piantato nei Giardini Vaticani da papa Francesco con Abu Mazen e Shimon Peres, nel segno della pace. Legni sconosciuti o famosi, 'profumati' dalle storie di chi si è speso per il bene comune, cercandolo e trovandolo anche nel male. Raccolti agli incroci con l’emarginazione o la fratellanza, davanti a un carcere o una cattedrale, in baraccopoli o ricche città, nell’esperienza della fatica umana o nel miracolo della solidarietà. Legni vicini e lontani da noi, accarezzati da zolle e dissetati da torrenti, restituiti dai mari alle spiagge della vita, cullati nella notte dalla luce dei fari nei porti, legni usati nelle guerre e nelle migrazioni, croci deposte su tombe abbandonate o culle degli esposti nelle metropoli del mondo. A legarli insieme, i fili spinati provenienti dalle due Guerre mondiali ma anche dai recenti 'muri' eretti per respingere i migranti. La trave di castagno della casa di Maria Pollaci, ostetrica a Modena, racconta dei 7.630 bambini che fece nascere, il cucchiaio in legno, giunto dal Perù, dei poveri che ha sfamato. Lo stipite macchiato dal sangue della strage di Erba parla insieme di abisso e di perdono, come il cedro che a Praglia, nel 1945, 'vide' i nazisti uccidere tredici innocenti – contadini, passanti, un mendicante, una bambina – ma oggi nella Casa della Carità 'vede' donne sottratte alla prostituzione e i loro figli. Invoca pace l’ulivo raccolto nell’Orto dei Getsemani, come i legni restituiti dal mare alle nostre coste, in rappresentanza di chi non ci è mai arrivato.  Nella Mangiatoia che Lo accolse, Dio ha anche il volto della traversina ferroviaria dal lager di Birkenau, della croce appartenuta a don Tonino Bello, dell’attrezzo usato per la riabilitazione di Davide T., grave cerebroleso curato a Filadelfia: il legno è intriso del sudore e delle lacrime dei suoi genitori, ma anche impastato con la speranza alimentata ogni giorno dalla costanza di tanti volontari. Allo stesso modo profuma' di Dio il ramo raccolto sulla strada tra Gubbio e Assisi lungo la via tante volte percorsa da san Francesco... «Da oltre cinquant’anni voi mi stupite con le vostre invenzioni, una più luminosa dell’altra», ha scritto il cardinale Loris Capovilla – cent’anni compiuti – ai volontari di Villa San Francesco, traendo il suo pezzo di Mangiatoia dall’albero che nel 1926 Angelo Roncalli, futuro Giovanni XXIII, piantò a Sotto il Monte: «La vostra iniziativa tocca la mia persona e mille e mille amici ormai sparsi nel mondo intero. Vi ammiro, vi ringrazio, vi amo». Anche la Croce che trent’anni or sono Giovanni Paolo II fece scolpire per le Giornate mondiali della gioventù è approdata nella loro culla: «Un piccolo pezzo fu conservato qui e ve lo regalo con il cuore», è la dedica commossa di don Michele Falabretti, responsabile nazionale della Pastorale giovanile. «Non abbiamo bisogno tanto di risposte o soluzioni, ma di un luogo dove poter depositare le nostre pene e sentire di essere accolti...». Ecco che cosa sono quei legni, le nostre sconfitte mutate in speranza. Il legno dei nostri naufragi che si trasforma nel solo Legno capace di salvarci. Giorni fa i ragazzi della comunità hanno portato in piazza San Pietro la loro Mangiatoia e papa Francesco davanti a essa ha sostato a lungo, senza dire una parola, fissando uno a uno quei 208 legni. Poi l’ha benedetta. Oggi è tornata a casa. I Magi vi troveranno un Bambino Gesù in gesso: salvato da una donna ecuadoregna, era stato gettato nella grande discarica di Quito. I 'ragazzi difficili' l’hanno scelto per questo.
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