giovedì 13 ottobre 2011
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La lunga e penosissima "Via Crucis" di Asia Bibi registra una nuova stazione, dolorosa e oltraggiosa. In carcere da oltre due anni, condannata a morte con l’accusa pretestuosa di "blasfemia" e in attesa di un nuovo processo, la donna pachistana divenuta simbolo delle persecuzioni anti-cristiane in un Paese a maggioranza islamica è stata sottoposta a tortura dai suoi carcerieri. Non per iniziativa isolata di qualche agente di custodia, nota il giornale locale che ne ha dato notizia, ma con la complicità dell’istituto penitenziario il cui personale ha assistito in silenzio alle violenze. Un’infamia atroce compiuta sul corpo già debole e sofferente di una povera contadina detenuta ingiustamente. Ma agli occhi dei suoi aguzzini questa Madre Coraggio, pachistana e cristiana, ha un’unica, grandissima colpa: quella di non essersi mai arresa, proclamando con forza la propria innocenza e al tempo stesso non rinunciando alla propria fede. «Non so più dire cosa provo. Paura, questo è sicuro. Le mie uniche compagne di cella sono le lacrime... In carcere tutti i giorni e le notti sono uguali». Sono parole tratte dalla sua biografia che oggi insieme alla pietà ci suscitano rabbia e sdegno. Povera Asia, cara nostra Asia Bibi: non è così, non è stato così, le tue notti e i tuoi giorni non sono tutti uguali, le tue lacrime non sono state l’unica compagnia, la paura si è trasformata in terrore. Il Male ha fatto irruzione nella tua cella, ti si è fatto terribilmente vicino, è entrato nella tua carne. E noi che da ottocento lunghi giorni aspettiamo la tua liberazione, ci sentiamo a nostra volta condannati all’impotenza contro un Male che si è fatto sistema giuridico, contro una legge che pretende di difendere l’onorabilità del profeta Maometto, ma in realtà viene usata per intimidire e colpire chi professa la fede in Cristo.In Pakistan chi tocca la legge "anti-blasfemia" muore. Chi osa prendere le difese dei cristiani viene attaccato e ucciso. È successo a Salman Taseer, il governatore del Punjab che si recò a trovare Asia Bibi in carcere, assassinato a gennaio. È accaduto a Shabbaz Bhatti, il ministro per le minoranze che si batteva per la libertà religiosa, trucidato a marzo. Nel primo caso il killer è stato arrestato e condannato a morte. Ma nei giorni scorsi migliaia di fondamentalisti islamici sono scesi in piazza acclamandolo come «soldato dell’islam». Utilizzando un altro perverso meccanismo legale in vigore in Pakistan, stanno raccogliendo soldi da destinare alla famiglia del governatore Taseer in cambio del «perdono» e dunque della libertà dell’assassino. Non è un riscatto, è un vero e proprio ricatto: un gruppo di estremisti islamici infatti ha sequestrato uno dei figli del governatore e propone lo scambio con il killer.Che un Paese con un simile sistema legale sia considerato uno degli alleati dell’Occidente contro il terrorismo di matrice islamica è qualcosa che neppure la più cinica Realpolitik riesce a giustificare. È purtroppo evidente che il governo di Islamabad non ha alcuna intenzione di cambiare la vergognosa legge sulla blasfemia. E anche nel caso venisse concessa la grazia ad Asia Bibi, la sua libertà si tramuterebbe in una condanna indiretta a morte, in quanto finirebbe subito nel mirino degli estremisti islamici. Ma ora sappiamo che la sua vita è costantemente in pericolo, seviziata e torturata da suoi custodi. Da qui il nostro appello: se non potete garantire la sua incolumità, né dentro né fuori del carcere, affidatela a una commissione internazionale o a un Paese straniero disponibile ad accoglierla. «Salviamo Asia Bibi!». È un grido che oggi rilanciamo con l’angoscia nel cuore, un grido che ci auguriamo diventi un coro assordante per chiedere un gesto di umanità. L’unico in grado di ridare l’onore perduto al governo del Pakistan.
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