mercoledì 29 novembre 2023
Un'ora di dialogo a casa del 50enne malato di distrofia muscolare che ha ottenuto l'accesso al suicidio assistito ma che testimonia amore per la vita. Con lui Moraglia, Trevisi, Brugnotto e Pizziol
Da sinistra: Moraglia, Trevisi, Gheller, Brugnotto e Pizziol

Da sinistra: Moraglia, Trevisi, Gheller, Brugnotto e Pizziol

COMMENTA E CONDIVIDI

Prendersi cura. Detto, fatto. I vescovi del Nordest non si sono accontentati di scrivere la nota pastorale Suicidio assistito o malati assistiti? ma mercoledì 29 novembre sono andati a trovare Stefano Gheller, cinquantenne di Cassola, in provincia di Vicenza, che, malato di distrofia muscolare, è stato autorizzato dall’Ulss 7 Pedemontana, al suicidio assistito.
Gheller, in carrozzina da quando aveva 15 anni e attaccato al respiratore meccanico ormai da un decennio, ha già visto l’evoluzione della sua stessa malattia in alcuni familiari. Per questo da anni si batte per poter essere autorizzato a decidere liberamente quando porre fine alla propria sofferenza. E lo ha pure rivendicato in Consiglio regionale del Veneto, seppur dichiarando tutto il suo amore per la vita. «Abbiamo parlato con Stefano dell’importanza della testimonianza a favore della vita – ha raccontato il patriarca di Venezia, monsignor Francesco Moraglia, dopo il colloquio – da parte di una persona che ha dimostrato e sta dimostrando tanto coraggio di vivere; è una testimonianza che diventa significativa soprattutto nel momento in cui la medicina sta crescendo nelle possibilità di intervento su molte patologie e si vengono talora a creare anche delle situazioni-limite».

Il presidente della Conferenza episcopale triveneta era accompagnato dal vescovo di Vicenza Giuliano Brugnotto, da monsignor Beniamino Pizziol, suo predecessore nella diocesi berica, che ripetutamente è stato da Gheller, dal vescovo di Trieste Enrico Trevisi, delegato della commissione per la Pastorale della Salute della Cet. «Sono felice di questo incontro durato più di un'ora – ha subito reagito Stefano -, dove monsignor Enrico Trevisi ha letto per me una parte del discorso che ho tenuto in Regione, e anche la lettera che ho scritto a papa Francesco. Abbiamo parlato molto, ho ascoltato la loro posizione e i loro timori, e ho ribadito il mio pensiero e la mia posizione. Il Patriarca di Venezia mi ha donato un icona della Madonna più antica di Venezia benedetta da lui e dagli altri presenti e abbiamo pregato assieme l'Ave Maria. Ringrazio don Beniamino Pizziol che mi ha donato un Angelo».
L’incontro di ieri era stato preceduto nelle scorse settimane da uno scambio di comunicazioni a partire dalla recente nota della Conferenza episcopale triveneta Suicidio assistito o malati assistiti?. Il Patriarca e i vescovi hanno anzitutto ascoltato con attenzione le parole di Stefano per poi inoltrarsi in un dialogo molto cordiale che si è protratto per un’ora. Gheller ha riportato anche quanto ha dichiarato nelle varie audizioni con il Consiglio regionale del Veneto e ha condiviso con i vescovi una lettera che invierà a papa Francesco. «È stato un incontro bello, costruttivo e che, noi pensiamo, abbia segnato anche l’inizio di un rapporto. La riflessione svolta è stata incentrata sul valore della testimonianza, evitando – sono parole, queste, che Stefano ha usato all’inizio del dialogo – buonismo e giudizi» ha raccontato il patriarca lasciando Cassola. «Il coraggio di vivere e il significato da dare alla vita – ha aggiunto il patriarca – sono fondamentali, come pure il poter condividere tutto ciò con gli altri e il percepire che la propria situazione di malato diventa qualcosa che può aiutare gli altri a crescere; sta qui, appunto, tutta la forza della testimonianza che un malato può offrire».

Il vescovo di Vicenza Brugnotto conferma che «è stato un incontro significativo ed importante per rispondere a una richiesta che Gheller aveva espresso ai vescovi del Triveneto in seguito alla pubblicazione della nota. Stefano è una persona che, pur nella condizione di gravissima malattia, desidera la vita. Per questo è ancora più importante continuare sulla linea che già il vescovo Beniamino aveva iniziato, cioè trovando spazi e tempi per stargli accanto come Chiesa. La vicinanza, soprattutto a chi è nella sofferenza, può essere espressa in tanti modi, ma quand’è possibile, una visita o una telefonata sono preferibili».
«Vogliamo essere una Chiesa che accompagna gli ammalati – sottolinea il vescovo Trevisi di Trieste –. Stefano ci ha testimoniato una grande passione per la vita. Lui, per la sua storia familiare del tutto particolare (la distrofia muscolare ereditata dalla madre), teme di trovarsi in una situazione di grande sofferenza e di non saper reggere. Però in questo momento ci ha testimoniato davvero una grande passione per la vita. Vogliamo essere testimoni della sua lunga battaglia per avere i presìdi sanitari, per avere tutte le cure necessarie; talvolta da altre parti questo non avviene, per cui siamo un po’ preoccupati. Noi ci siamo posti in ascolto, con rispetto della sua posizione e lui per la nostra. E abbiamo pregato insieme l’Ave Maria».
Trevisi ricorda che le tematiche in gioco sono molto complesse e che la medicina oggi sta aumentando i casi di persone che prolungano la loro vita in una situazione che una volta non era pensabile: «Quindi – conclude – noi siamo per incentivare tutte quelle modalità che consentono una vita dignitosa, una vita piena di senso. Il fatto che siamo andati in quattro vescovi a salutare Stefano vuol essere un segno anche per la società e per la Chiesa di darsi il tempo per le persone, di darsi il tempo per incontrare per avere delle buone relazioni. Riceviamo tanti segnali dai nostri ammalati che gradiscono una vicinanza maggiore, anche da parte dei propri preti, dei propri parrocchiani, su questo appuntamento non vogliamo essere mancanti».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI