giovedì 5 giugno 2025
Cure palliative ed eutanasia, terapia genica, staminali, intelligenza artificiale: temi e domande nell’agenda di monsignor Renzo Pegoraro, chiamato dal Papa alla presidenza dopo l'arcivescovo Paglia
Monsignor Renzo Pegoraro, padovano, 66 anni, medico e bioeticista, già cancelliere della Pontificia Accademia per la Vita

Monsignor Renzo Pegoraro, padovano, 66 anni, medico e bioeticista, già cancelliere della Pontificia Accademia per la Vita - Agenzia Romano Siciliani

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«La Pontificia Accademia per la Vita (Pav) si pone come centro di studi e di ricerca, per offrire alla Chiesa, alla società civile e alle diverse istituzioni un contributo ben fondato e argomentato, ispirato alla prospettiva antropologica cristiana, con una visione della persona nella sua interezza, e che cerca di rendere ragione di come determinati valori e princìpi diventino anche norme etiche e regolamentazione». Il 27 maggio monsignor Renzo Pegoraro è stato nominato presidente della Pav da papa Leone XIV: medico (nel 1985) prima che sacerdote (nel 1989) della diocesi di Padova, Pegoraro si è poi perfezionato in Teologia morale e in Bioetica presso l’Università Cattolica. È stato segretario generale della Fondazione Lanza (Centro di studi avanzati in Etica, bioetica ed etica ambientale) nella sua città d’origine e ha insegnato sia Bioetica sia Etica infermieristica. Dal 2011 era cancelliere della stessa Pontificia Accademia per la Vita. Per due anni ha tenuto la rubrica “BioLingua” nelle pagine di “è vita” su Avvenire (le puntate sono reperibili su Avvenire.it). E al dialogo paziente, ma nella chiarezza dei princìpi, intende continuare a ispirare l’azione della Pav.

Quali sono i temi che intende sviluppare?

Fui nominato cancelliere della Pontificia Accademia per la Vita da papa Benedetto XVI, quando il presidente era il vescovo Ignacio Carrasco de Paula, e lo sono rimasto quando con papa Francesco è stato nominato presidente l’arcivescovo Vincenzo Paglia, nel 2016, sostituito alla normale scadenza dei suoi 80 anni, compiuti il 21 aprile. Credo che procederemo con i temi su cui abbiamo lavorato molto negli ultimi anni: il fine vita e la promozione delle cure palliative; la bioetica globale; le biotecnologie e la terapia genica; l’intelligenza artificiale. Il dibattito sul fine vita riguarda Paesi dove purtroppo c’è già una legislazione che permette il ricorso al suicidio assistito o all’eutanasia, e altri che ne stanno discutendo, tra cui l’Italia. La Pav ha lavorato molto sull’informazione, promozione, diffusione delle cure palliative per una buona assistenza e un buon accompagnamento di chi è in fase terminale. Riprendendo alcuni spunti di papa Francesco, la bioetica globale vuole integrare le questioni dell’etica medica con i contesti in cui le persone sono inserite, l’ambiente, i fattori economici e sociali che compromettono la vita e la salute. Sulle biotecnologie si lavora per garantirne lo sviluppo nel rispetto della identità e dignità di ogni persona umana. Infine sull’intelligenza artificiale (IA) già nel 2020 è stato pubblicato un documento (“Rome call for AI ethics”) per assicurare che l’applicazione dell’IA mantenga una impostazione “umanocentrica”, in cui resti al centro la persona umana con le tutele e il rispetto che le sono dovuti.

Oggi la centralità della persona si trasforma spesso in autonomia assoluta dell’individuo nelle sue scelte (eutanasia, aborto...): quali conseguenze ne derivano alla società?

Nel mondo occidentale c’è un’idea dell’autonomia che rende l’io ipertrofico, col rischio di schiacciare tutto il resto: la vita, le relazioni con gli altri, il senso di appartenenza a una comunità. L’autonomia personale va riconosciuta e rispettata, ma l’autonomia è relazionale: siamo responsabili gli uni verso gli altri della salute, e della cura di chi è più in difficoltà o nella sofferenza. Una visione individualistica, che trasforma il soggetto in “io assoluto”, sganciato da tutte le altre relazioni, spinge in direzioni che non sono rispettose del valore della vita. È importante dialogare con tutti, con pazienza, con costanza, ma anche ricordare quali sono le basi della nostra convivenza civile, e che la vita umana chiede rispetto, tutela e accompagnamento anche quando non si può guarire. Ogni persona deve essere ben assistita, con le cure palliative, perché possa morire con dignità e affrontare la fase terminale senza dolori e sofferenze, non in solitudine. Più che invocare una libertà assoluta, che si trasforma solo nell’annientamento di sé, si deve mostrare il ruolo e l’aiuto di una società capace di prendersi cura, di essere presente e di coltivare relazioni che diano un senso anche al morire. Nelle singole coscienze c’è sempre un’area di mistero, ma il suicidio rappresenta una sconfitta anche per la società: l’eventuale rifiuto delle terapie va accompagnato dalle cure palliative, fino alla sedazione profonda, se serve. L’aiuto non deve servire a provocare la morte ma a vivere fino in fondo anche la propria morte.

La Pav ha sempre seguito con attenzione i progressi scientifici, per esempio sulle cellule staminali. Quali valori vanno tutelati nella libertà della ricerca?

Cerchiamo di comprendere gli sviluppi scientifici più importanti: gli studi devono andare avanti, ma occorre affrontare le modalità delle sperimentazioni sull’uomo, oggi si tende a dire “con” l’uomo. Su questo tema a fine 2024 l’Associazione medica mondiale (Wma) ha approvato l’aggiornamento della “Dichiarazione di Helsinki” a 60 anni di distanza dalla prima edizione: la Pav ha ospitato in Vaticano un convegno dedicato in particolare all’accesso alla ricerca nei Paesi a basso reddito, perché sia svolta nel rispetto di alcuni princìpi etici fondamentali. Le cellule staminali hanno suscitato grande interesse alcuni anni fa, oggi le ricerche procedono soprattutto con le cellule staminali pluripotenti indotte (Ips), scoperte dal professor Shinya Yamanaka, che si stanno dimostrando le più efficaci e utili nella pratica, mentre quelle embrionali sono quasi abbandonate sia perché poco adatte alla clinica sia per motivi etici, visto che prevedono la distruzione dell’embrione.

Tra biotecnologie e intelligenza artificiale, potenziamento dell’umano e questioni dell’identità maschile-femminile: che rischi comporta l’ignorare la realtà biologica dell’umano?

Sulla terapia genica la discussione è ripresa in modo più prudente: si cerca di curare alcune malattie rare, di carattere genetico, intervenendo sulle cellule somatiche. Invece il dibattito è ancora molto travagliato se si coinvolge la linea germinale, i gameti: la Convenzione di Oviedo del Consiglio d’Europa vieta interventi sul genoma che si possano trasmettere ai discendenti. In quest’ambito la Pav, insieme al consorzio di ricerca di Basilea, ha promosso un convegno nel novembre 2024 per un approfondimento interdisciplinare, con attenzione non solo alle questioni etiche ma anche al contributo che viene dalle religioni (cristianesimo, islam, giudaismo, buddismo) su come interpretare questi interventi sulla vita umana e su come evitare rischi di manipolazioni. Occorre sempre mettere la persona al centro, con la sua integrità e dignità, e recuperare la dimensione della corporeità, anche nelle questioni relative al riconoscimento del maschile e del femminile. Ci sono centri che cercano di studiare, capire e accompagnare le persone che vivono la disforia di genere. Senza cadere nell’ideologia, nella teoria del gender, occorre ascoltare e aiutare le persone che vivono questo disagio. Dobbiamo promuovere approcci alla persona che recuperino e valorizzino la corporeità, e il valore cristiano dell’incarnazione e tutelino la nostra realtà umana, dentro una società che ha smarrito tanti punti di riferimento, mantenendo il significato della persona, della vita e dell’appartenenza alla comunità.

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