venerdì 1 marzo 2024
«Sconcerto» per le Istruzioni con cui la Regione ha tracciato un percorso per la morte volontaria. «Procurare la morte è contro il valore della persona, i fini dello Stato e la professione medica»
Emilia-Romagna, i vescovi: «No a una scelta di eutanasia»
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«Procurare la morte, in forma diretta o tramite il suicidio medicalmente assistito, contrasta radicalmente con il valore della persona, con le finalità dello Stato e con la stessa professione medica». Era atteso, il giudizio della Conferenza episcopale dell’Emilia-Romagna sulle «Istruzioni tecnico-operative» con le quali la giunta regionale aveva tracciato il 9 febbraio il percorso per ottenere il suicidio assistito.

E ora che è arrivato, con una nota argomentata e ferma, chi quella regolamentazione amministrativa l’ha pensata deve farci i conti: perché insieme a considerazioni sulla necessità di confrontarsi tutti insieme con «la necessità di modalità di accompagnamento e di assistenza permanente verso le persone anziane e ammalate, anche quando non c’è più la possibilità di guarigione, continuando e incrementando l’ampio orizzonte delle “cure”, cioè di forme di prossimità relazionale e mediche», la nota diffusa ieri esprime anche grande preoccupazione e un franco dissenso: «La proposta della Regione Emilia-Romagna di legittimare con un decreto amministrativo il suicidio medicalmente assistito, con una tempistica precisa per la sua realizzazione, presumendo di attuare la sentenza della Corte costituzionale 242/2019, sconcerta quanti riconoscono l’assoluto valore della persona umana e della comunità civile volta a promuoverla e tutelarla». Infatti «il valore della vita umana si impone da sé in ogni sua fase, specialmente nella fragilità della vecchiaia e della malattia». E «proprio lì la società è chiamata a esprimersi al meglio, nel curare, nel sostenere le famiglie e chi è prossimo ai malati, nell’operare scelte di politiche sanitarie che salvaguardino le persone fragili e indifese, e attuando quanto già è normato circa le cure palliative. Impegno, questo, che qualifica come giusta e democratica la società».

Appena conclusa la visita ad limina a Roma, con l’incontro con il Papa, i vescovi emiliano-romagnoli intervengono sul fine vita ricordando un dato che non può che essere condivisibile da tutti: «Nascere, vivere, morire: tre verbi che disegnano la traiettoria dell’esistenza. La persona li attraversa, forte della sua dignità che l’accompagna per tutta la vita: quando nasce, cresce, come quando invecchia e si ammala. Sperimenta forza e vulnerabilità, intimità e vita sociale, libertà e condizionamenti». È proprio l’esperienza comune di questa condizione che li spinge a intervenire sulla questione, con l’intento di «offrire un nostro contributo, sulla base della condivisa dignità della persona e del valore della vita umana, rivolgendoci non solo ai credenti ma a tutte le donne e gli uomini. Esprimiamo con chiarezza – scandiscono i vescovi – la nostra preoccupazione e il nostro netto rifiuto verso questa scelta di eutanasia, ben consapevoli delle dolorose condizioni delle persone ammalate e sofferenti e di quanti sono loro legati da sincero affetto. Ma la soluzione non è l’eutanasia, quanto la premurosa vicinanza, la continuazione delle cure ordinarie e proporzionate, la palliazione, e ogni altra cosa che non procuri abbandono, senso di inutilità o di peso a quanti soffrono».

Le «radici» di questa «prossimità» risiedono «nell’umanità condivisa, nel valore unico della vita, nella dignità della persona, e trovano sorgente, luce e forza ulteriore in Gesù di Nazareth che, proprio sulla Croce, nella fase terminale della esistenza, ci ha redenti e ci ha donato sua madre, scambiando con Lei, con il discepolo amato e  con chi condivideva la pena, parole e un testamento di vita unico, irrinunciabile, non dissimili a quelle confidenze che tanti cari ci hanno lasciato sul letto di morte».
Il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini (Pd) legge il giudizio dei vescovi esprimendo «massimo rispetto di tutte le opinioni e di tutte le istanze, quando espresse con correttezza, su un tema così importante e delicato» e si dice «disponibile a ogni occasione di approfondimento», ma ricorda che «le sentenze della Corte costituzionale si applicano»: «Possono certamente essere discusse e non condivise ma non disattese, in ossequio al principio di legalità». Una conferma granitica della sua posizione, che però non risponde ai rilievi etici della nota episcopale, ineludibili quando si parla di vita e di morte delle persone.
Sugli aspetti giuridici evocati dal governatore si registra un duplice ordine di problemi. Anzitutto la possibilità che sia una Regione e non debba invece essere lo Stato a intervenire su scelte che coinvolgono la vita umana, bene indisponibile per la stessa Costituzione. Un secondo profilo sta dando luogo a un confronto serrato nelle istituzioni regionali. La giunta ha preso atto dei problemi emersi da una prima lettura delle Istruzioni, e fatti notare a caldo dal Comitato nazionale per la bioetica, correggendo il testo con un documento integrativo che individua l’ente etico territorialmente competente nel Comitato per l’etica clinica presso l’Ausl-Irccs di Reggio Emilia, elevato al rango regionale.

Un ritocco che non soddisfa chi aveva impugnato l’atto davanti al Tar. Anzi. «La pezza è peggio del buco» attacca Valentina Castaldini, consigliera regionale di Forza Italia. La Consulta infatti nella sua sentenza sul suicidio assistito aveva richiesto «fermamente l’utilizzo dei Comitati etici territoriali» (Cet) come garanti della «uniformità territoriale», per evitare quel «federalismo in salsa emiliana» configurato dalla scelta unilaterale del comitato reggiano. «La giunta – è il rilievo della consigliera – si giustifica dicendo che i Cet hanno ormai spiccate competenze relativamente alla sperimentazione dei farmaci più che sulla bioetica, ma proprio per questo sono indicati dalla Corte. La prima competenza in un caso di siucidio assistito è quella di gestione del farmaco».

«Sulla gravissima accelerazione dell’Emilia Romagna per introdurre con meri atti amministrativi l’obbligo di prestare la morte negli ospedale in 40 giorni i vescovi della regione offrono una parola chiara per un sincero dialogo con tutti»: è la posizione espressa dal portavoce del network di associazioni cattoliche per la vita umana “Ditelo sui tetti” Domenico Menorello. «Infatti – aggiunge –, una società che impone tempi record per scartare i fragili e i malati si sta forse esprimendo “al meglio”? E un ente che sovverte ogni regola democratica in tema di riparto delle competenze istituzionali, per ottenere forzatamente un proprio inedito federalismo della morte, sta facendo il bene dei propri cittadini?».


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