venerdì 29 gennaio 2016
​La signora Godelli che ricorse alla Corte europea dei diritti dell'uomo lancia un appello a questo giornale, a tutti i mass media e al legislatore impegnato a varare le norme sulle unioni civili. Merita fattivo ascolto.
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Gentile direttore, sono la persona che con ostinata caparbietà è ricorsa alla Corte europea dei diritti dell’uomo per ottenere un diritto che mi era stato precluso, quello, essendo stata adottata, di conoscere le mie origini biologiche. La Corte ha emesso sentenza favorevole il 25 settembre 2012 – sentenza ratificata dalla Corte costituzionale italiana il 18 novembre 2013. Alla sentenza è seguita una proposta di legge per sancire le modalità di applicazione di tale diritto (la conoscenza delle proprie origini biologiche) passata alla Camera dei deputati e in attesa di approvazione al Senato della Repubblica. Le espongo tutto ciò perché seguo con profonda angoscia l’iter parlamentare sull’adozione da parte delle coppie omosessuali, perché sono sicura che qualsiasi legge verrà varata, si troverà il modo di aggirarla al fine di ottenere maternità o paternità con metodi assolutamente anonimi, precludendo così ai bimbi e futuri adulti un’identità ben precisa. Ho lottato per lunghi anni per spalancare una porta che sembrava definitivamente chiusa per me e per le tante persone che si trovavano nelle mie stesse condizioni, per veder vanificato tutto? Vorrei confrontarmi con qualcuno degli esponenti di queste teorie create sulla pelle altrui, cariche di (falsi) buoni sentimenti che trattano l’argomento con il senso del diritto (proprio) e del conseguente possesso dei bambini-figli come oggetti, senza tenerne in conto dignità e personalità, come se si trattasse di giocattoli creati ad hoc per soddisfare le proprie pulsioni. Non dico di più, perché non vorrei farmi prendere dai sentimenti che sto provando. Mi appello alla sua sensibilità, direttore, per continuare a condurre una battaglia eticamente e moralmente giusta, alla quale sono pronta a dare volentieri un apporto con le testimonianze della profonda sofferenza in cui potrebbero cadere questi “giocattoli” una volta diventati persone adulte. Mi rivolgo a tutti i mass media. E oso sperare nella responsabilità dei nostri legislatori.
Anita Godelli Trieste
 
Ammetto di aver letto con commozione la sua testimonianza e il suo appello, gentile signora Anita. Con commozione crescente, ma soprattutto con rispetto. Il rispetto che sempre si deve a chi parla a ragion veduta e, soprattutto, a vita vissuta e a battaglie difficili condotte con coraggio e retta coscienza e vinte con umanità e stile. Voglio perciò assicurarle che continueremo a informare in modo sereno, approfondito e chiaro sulla questione del diritto del figlio, di ogni figlio, a non essere ridotto a “oggetto” o a “giocattolo”. Così come continueremo a documentare le conseguenze del rivendicato diritto al figlio e sul figlio da parte di chi ritiene la stepchild adoption una mossa necessaria nella battaglia politica per ottenere il riconoscimento della dignità e della “parità” della condizione omosessuale. A mio avviso, e – grazie a Dio, e alla ragione – non solo a mio avviso, ma secondo la stragrande maggioranza degli italiani, non c’è però parità degna di questo nome che possa essere sancita attraverso l’affermazione di una “genitorialità omosessuale” che si realizzi per sottrazione, cioè attraverso la deliberata rimozione del padre o della madre del bimbo generato: padre gravemente ridotto a mero fornitore di seme, madre ancora più gravemente spersonalizzata e rinchiusa nella condizione di “fattrice”, di portatrice di figli per altri attraverso la pratica dell’utero in affitto. Ogni essere umano ha diritto integrale, per quanto questo sia umanamente possibile, a ricollegarsi alle proprie autentiche radici genitoriali e a non essere trattato come un “prodotto”. So poi che ogni figlio ha diritto nativo a crescere con la donna-madre e l’uomo-padre che l’hanno messo al mondo, così come che questo diritto può essere negato o svuotato in molte maniere, ma mai deve succedere per scelta ideologica. Ammiro profondamente chi adotta. E non mi permetto di giudicare la capacità di amore di nessuno perché penso che ogni uomo e ogni donna portino in sé la possibilità e il senso della paternità e della maternità, che non si sviluppano mai – lo dico per esperienza personale e per conoscenza diretta di tante esperienze d’altri – solo in modo per così dire, carnale, ma anche e potentemente in modo spirituale. L’importante, sempre e comunque, è mantenere chiaro che i figli che abbiamo generato e/o accolto non possono essere trattati, proprio come lei sottolinea, alla stregua di un “possesso” o, come ho più di una volta sottolineato, di “bandierine” per contrassegnare e segnalare la conquista ottenuta da altri. Ecco perché sono anch’io tra quanti considerano la stepchild adoption una scelta rischiosa e comunque precipitosa, e perché ho auspicato confortato dal parere di grandi giuristi come Cesare Mirabelli e di altri addetti ai lavori un rinvio della questione a un lavoro complessivo e accurato sulla normativa per l’adozione. Il prezzo di ogni gioco spericolato sulle frontiere dell’umano è la sofferenza: prima di tutto dei bambini e futuri adulti, come lei afferma con giusta forza, ma anche dei già adulti coinvolti in tante maniere in queste storie e, purtroppo, in cinici e sempre più evidenti “affari”. Nulla di ciò che tocca la vita e le relazioni che le danno origine, profondità e valore resta senza conseguenze. Il suo accorato appello, gentile signora, merita fattivo ascolto.Marco Tarquinio
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