giovedì 21 marzo 2024
Per mantenere universalità, equità e uguaglianza occorre sapersi adeguare ai cambiamenti in atto, demografici e scientifico-tecnologici. Per riuscire a dare risposta alla domanda di cura del malato
Servizio sanitario, le proposte dei medici cattolici

IMAGOECONOMICA

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Adeguarsi al cambiamento è forse uno dei compiti più difficili, ma decisivi perché il Servizio sanitario nazionale (Ssn) continui ad avere le caratteristiche sue proprie: universalità, equità, uguaglianza. Non solo la demografia sta incidendo sulle richieste di cura, ma l’affermarsi della tecnologia fa a volte dimenticare la modalità più propriamente umana, di relazione, che deve caratterizzare l’attività medica, stretta tra valori ideali e contingenze economiche. Alla necessità di ricostruire il Servizio sanitario nazionale è stato dedicato nei giorni scorsi un dibattito, organizzato dalla sezione di Milano dell’Associazione medici cattolici italiani (Amci), presieduta da Alberto Cozzi.

«Oggi impera una visione economicistica, occorre una rivoluzione culturale», ha ammonito Alfredo Anzani (Irccs Ospedale San Raffaele di Milano), e il vicepresidente nazionale di Amci per il Nord, Franco Balzaretti, ha sottolineato: «Le gravi carenze di risorse umane, economiche e strutturali non giustificano che si dimentichi il nostro denominatore comune: la centralità dell’ammalato e la dignità della vita umana dal concepimento al termine naturale».

Di fronte all’aumento della spesa sanitaria Alberto Scanni (già direttore generale dell’Istituto nazionale dei Tumori di Milano) ha auspicato una revisione del ruolo della sanità privata, in modo che sia sussidiaria e non in competizione con le strutture pubbliche, suggerendo di “snellire” le regole di gestione per il pubblico, nonché di prevedere un contratto di lavoro unico per medici di medicina generale e ospedalieri.

Emanuela Locati, cardiologa dell’Irccs Policlinico San Donato (Milano), ha puntato l’accento sulle problematiche che porta con sé l’aumento della vita media: «Se è un successo anche del nostro Ssn, d’altro lato, sommato al deficit di natalità, presenta nuove sfide verso cui dobbiamo prepararci». Viste le difficoltà a fare delle case di comunità un presidio aperto sulle 24 ore, Locati ha rimarcato che resta fondamentale l’assistenza domiciliare, rivedendo il concetto della presa in carico e valorizzando sia la tecnologia, sia soprattutto le reti, finora carenti, tra medicina specialistica e medicina di famiglia.

Il dibattito tra i consiglieri regionali lombardi Emanuele Monti (Lega) e Carlo Borghetti (Pd) ha messo in evidenza la necessità di investire di più in prevenzione, con il primo a ricordare lo squilibrio nel bilancio italiano della spesa previdenziale rispetto a quella sanitaria, e il secondo a chiedere un ruolo più definito della sanità privata nel concorrere agli obiettivi di salute.

Mariapia Garavaglia, già ministro della Sanità nel governo Ciampi, ha lamentato che il Ssn stenta a essere universalistico («non ci sarebbero i 40 miliardi spesi direttamente dai cittadini, o quelli che non si curano più»), ma ha sottolineato l’esigenza di appropriatezza delle prestazioni. Oltre al fatto che la molteplicità dei livelli (Stato, Regioni, Asl, Comuni) rischia di creare duplicazioni di funzioni e sprechi di risorse: «E se manca la programmazione, peggiore diventa l’organizzazione, oltre al fatto che mancano i controlli».

Infine ha sollecitato a fare “lobbysmo positivo” sui decisori politici perché tengano presenti i problemi veri della sanità, “tirando le orecchie” a chi anche nel mondo medico (Ordini e società scientifiche) non ha vigilato abbastanza: «Si doveva sapere quanti sarebbero andati in pensione e programmare di conseguenza gli accessi».

Tasto dolente, ripreso da Nicola Montano, vicepreside della facoltà di Medicina dell’Università degli Studi di Milano: «Quest’anno le specialità più richieste dai giovani medici sono state dermatologia, endocrinologia e oculistica. Mentre sono rimaste poco coperte specialità dove c’è carenza di professionisti: il 30% in medicina d’urgenza, il 66% in medicina interna e il 70% in chirurgia generale e in anestesia e rianimazione».

Montano, oltre ad auspicare un miglior impiego degli specializzandi nel Ssn, ha ripetuto che « le priorità delle persone oggi sono diverse, anche il giovane medico cerca un miglior equilibrio tra vita lavorativa e vita privata». «È necessario – ha concluso – che il ministero della Salute e quello dell’Università di confrontino rispetto a una programmazione a lungo termine che guardi alle necessità del Ssn». Per non rischiare, da un lato, come ha paventato il sindacato Anaao, che nel 2032 ci sia un nuovo esubero di 30mila medici, dall’altro che mancando alcune specialisti indispensabili, si debbano chiudere ospedali per carenza di professionisti.

All’esigenza di una “rifondazione” del Ssn si è riferito Giorgio Bordin (presidente dell’associazione Medicina e persona): se «la cronicità ci ha travolti come un’epidemia», bisogna evitare di seguire modelli già superati per il riordino dell’assistenza territoriale, perché non è vero che la cronicità sia solo bassa intensità rispetto all’acuzie da curare in ospedale. Certamente «l’esigenza organizzativa è critica e complessa», ma – ha aggiunto – non bisogna mai dimenticarsi «lo scopo che si persegue: bisogna chiedersi che cosa sono salute e malattia, il rapporto del prendersi cura» e che «la domanda di salute dell’uomo malato è anche inconsapevolmente domanda di salvezza».

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