
Come sempre in questo periodo invernale, ci vengono proposte immagini di senza tetto riparati in cartoni sotto i portici delle città. Vengono anche fortunatamente illustrate iniziative caritatevoli, distribuzione di coperte e viveri, pranzi nei giorni di festa presso istituzioni religiose e laiche. Ci commuovono, e spesso sappiamo di essere impotenti di fronte a una soluzione radicale e definitiva. Una buona notizia ha riguardato di recente almeno il diritto alla salute dei senza tetto. Il 6 novembre è stata infatti approvata la legge, proposta dal deputato Furfaro, n. 176/2024 su “Disposizioni in materia di assistenza sanitaria per le persone senza dimora”. Da tre legislature veniva riproposta da Antonio Mumolo, presidente della Associazione “Avvocato di strada”, ma cadeva con la conclusione delle legislature. Finalmente si è superata una lacuna della legge 833, che garantiva il medico di base solo a chi avesse una residenza.
Purtroppo quando una persona senza dimora finisce in strada scompare dall’anagrafe, perde molti diritti tra cui quello alla salute, e molti Comuni sono restii a concedere una residenza fittizia, anche se è prevista dalla normativa. Non è solo riconoscere un diritto umano, ma anche interesse di tutti. Sia chiaro che giova alla collettività questa norma, che non è una scelta buonista: curare le persone che vivono in strada è anche attività di prevenzione pubblica. La legge per ora si applica in forma sperimentale solo nelle città metropolitane, per cui serve ancora impegno per sollecitare le Regioni a legiferare, in quanto si tratta di materia sanitaria e quindi di loro competenza primaria. Questa buona notizia si aggiunge all’altra, anch’essa già illustrata da “Avvenire”, ma che potrebbe rimanere solo sulla carta.
È noto che il 6 dicembre con la sentenza n.195 la Corte costituzionale ha decretato che per lo Stato è un obbligo applicare l’articolo 32 della Costituzione perché si tratta di garantire il diritto fondamentale alla tutela della salute. Secondo la Corte, il finanziamento del Sistema sanitario è prioritario anche a scapito di altri stanziamenti del bilancio statale. Nonostante il richiamo alle scarse risorse che costringono a contenere la spesa pubblica, la Corte sollecita i legislatori a evitare tagli lineari alla sanità. La Consulta ha richiamato, a proposito di autonomia differenziata, la necessità di garantire il coinvolgimento della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica per la parte dei contributi che devono essere versati dalle Regioni. Queste ultime hanno competenza primaria in materia di sanità, e tuttavia – secondo la sentenza – lo Stato potrebbe addirittura tagliare risorse tra quelle da trasferire alle Regioni che non rivestono il medesimo carattere di necessità riguardo «le primarie esigenze della persona umana», in quanto il diritto alla tutela della salute non può essere sacrificato. Anzi, «il decisore politico ha la disponibilità di utilizzare risorse per altri impegni che non rivestono la medesima priorità».
Il nostro Sistema sanitario è nato come servizio universale, per cittadini italiani e per tutte le persone che si trovano in Italia. Per i ricchi e per i poveri, perché dovrebbe essere finanziato dalla fiscalità generale e quindi le differenze sociali si dovrebbero equilibrare, perché chi ha disponibilità contribuisce di più. L’eguaglianza nell’accesso alle cure riveste anche un significativo valore etico, perché per tutti deve essere garantita la stessa qualità, per i ricchi e anche per i poveri. Più chiaro di così... Ma come, e a quando, le pratiche attuazioni di queste norme?