venerdì 10 novembre 2023
Dal presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione un intervento che invita ad affrontare i formidabili interrogativi umani sulla sofferenza de bambini
Le foto appese nella camera di Indi all'Ospedale di Nottingham

Le foto appese nella camera di Indi all'Ospedale di Nottingham - Facebook Indi Gregory

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In queste ore di trepidazione, di mobilitazione e di preghiera per la piccola Indi Gregory, ore nelle quali in tanti e giustamente si battono affinché i suoi genitori possano vedere accolto il loro desiderio di accompagnarla con tutto il loro amore e col supporto di una adeguata struttura sanitaria, per il tempo che le è dato di vivere, emerge drammaticamente quella domanda radicale che è alla base di ogni pur necessaria discussione sulle implicazioni etiche, educative e giuridiche della vicenda. Ed è la domanda su quale senso abbia il dolore e in particolare, come in questo caso, del dolore innocente». Così Davide Prosperi, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, introduce la sua riflessione sul caso di Indi Gregory. «Il giudice inglese che si occupa del caso sostiene infatti che è “nell’interesse di Indi” non prolungare la sua sofferenza – prosegue Prosperi –. Un “interesse” che i genitori della bimba, secondo il giudice, non sarebbero in grado di vedere. Il dolore e il limite sono dunque una obiezione che “deve” avere la meglio sulla vita e sull’amore? Andando al fondo della questione: perché Dio permette il dolore innocente?». Affrontando questi interrogativi di senso, e invitando a fare altrettanto, Prosperi aggiunge di essere convinto che «solo lasciandosi ferire dall’aculeo di questa domanda si possa guardare ciò che sta accadendo a Indi e ai suoi genitori con speranza, e si possa essere al loro fianco senza lasciarsi sovrastare dalla sofferenza, dalla fatica, dall’incomprensione del mondo, “l’inferno” di cui ha parlato il padre di Indi uscendo dal tribunale. E comprendere perché in questo caso il giudice ha torto e i genitori di Indi hanno ragione: se la sofferenza ha un significato, allora è giusto spendersi in ogni modo possibile per accompagnare chi soffre, con quell’amore e quella cura che ogni persona, nel suo grande mistero, merita».
Nella sua riflessione, diffusa dall’Ufficio stampa di Cl, il presidente della Fraternità ricorda la parola di due Papi sulla domanda che sale dal dolore innocente: nel 2011 Benedetto XVi disse che «non abbiamo le risposte, ma sappiamo che Gesù ha sofferto come voi, innocente... Questo mi sembra molto importante, anche se non abbiamo risposte, se rimane la tristezza: Dio sta dalla vostra parte». Allo stesso quesito papa Francesco, rispose che «questa domanda è una delle più difficili a cui rispondere. Non c’è risposta», chiedendosi poi «cosa posso fare io perché un bambino soffra di meno? Stargli vicino. La società dia aiuti anche palliativi per le sofferenze dei bambini, si sviluppi l’educazione dei bambini verso le malattie». Prosperi cita anche quel che sulla vicenda israelo-palestinese ha detto il cardinale Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme«Sulla croce inizia una nuova realtà e un nuovo ordine, quello di chi dona la vita per amore. […] La risposta di Dio alla domanda sul perché della sofferenza del giusto, non è una spiegazione, ma una Presenza. È Cristo sulla croce. È su questo che si gioca la nostra fede oggi. Gesù in quel versetto parla giustamente di coraggio. […] Io voglio, noi vogliamo essere parte di questo nuovo ordine inaugurato da Cristo. Vogliamo chiedere a Dio quel coraggio. Vogliamo essere vittoriosi sul mondo, assumendo su di noi quella stessa Croce, che è anche nostra, fatta di dolore e di amore, di verità e di paura, di ingiustizia e di dono, di grido e di perdono». Parole che gli ricordano quel che «disse una volta don Giussani: “Che coraggio ci vuole per sostenere la speranza degli uomini!”. Ci vuole del coraggio per condividere la sofferenza degli uomini». Prosperi aggiunge un significativo ricordo personale: «Qualche anno fa l’associazione La Mongolfiera, una onlus impegnata nell’aiuto alle famiglie con figli disabili, mi chiese di scrivere la prefazione al libro che racconta la loro storia attraverso le testimonianze di famiglie coinvolte. Scrivere quel testo mi costrinse anzitutto ad affrontare quelle stesse domande. Domande che oggi la vicenda di Indi, così come anche quella dei tanti bambini innocenti che oggi muoiono a causa di guerre e persecuzioni, ripropongono in tutta la loro inevitabilità. È guardando quelle famiglie della Mongolfiera, quei ragazzi disabili e i loro genitori che per me è stato possibile iniziare a dare un nome al mistero del dolore. Lo dice grandiosamente Charles Peguy: “Voi bambini imitate Gesù. Non l’imitate. Siete dei bambini Gesù. Senza accorgervene, senza saperlo, senza vederlo”».

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