venerdì 15 aprile 2022
Il salone "Un sogno chiamato bebè", previsto il 21 e 22 maggio nel capoluogo lombardo, è stato rinviato di un anno
L'annuncio del rinvio al 2023 del Salone

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"Un sogno chiamato bebè" non approda in Italia. Almeno per ora. La fiera della procreazione assistita, in programma il prossimo maggio a Milano dopo aver trovato spazio in diverse capitali europee (Parigi, Berlino, ma anche Colonia e Monaco), è stata rinviata di un anno "a causa di circostanze al di fuori del nostro controllo", come fanno sapere gli organizzatori con una newsletter recapitata oggi agli iscritti.

Una "decisione difficile", si legge ancora nella comunicazione. Il Salone avrebbe dovuto svolgersi a Milano il 21 e 22 maggio in uno spazio di via Mecenate, alla periferia est della città. L'annuncio dello sbarco in Italia era stato accolto con molti interrogativi: in Italia la legge sulla procreazione medicalmente assistita proibisce la pubblicità e la promozione di tecniche di surrogazione di maternità (la Gravidanza per altri) e anche della donazione di gameti. Naturalmente gli organizzatori avevano assicurato che nulla di tutto questo sarebbe accaduto, ma avendo ben presente ciò che è successo ad esempio alla analoga fiera che si è svolta a Parigi all'inizio di settembre 2021, qualche dubbio è lecito. Anche in Francia l'utero in affitto è vietato così come la sua pubblicizzazione, ma questo divieto non è stato rispettato, come abbiamo documentato, da sponsor, seminari, promozioni di cliniche estere tutto compreso.

Sta di fatto che la notizia che a Milano ci sarebbe stata per la prima volta una fiera che commercializza servizi sanitari legati alla nascita di bambini aveva suscitato numerose perplessità. Il senatore Gasparri aveva presentato una interrogazione al ministero della Salute in cui chiedeva di "evitare in Italia qualsiasi azione illegale che facendo leva sulla voglia di genitorialità sfrutta persone deboli, in questo caso soprattutto donne, e non ha alcun rispetto per la vita dei bambini, trattati come un prodotto da banco".

Nella stessa città di Milano la notizia non aveva lasciato indifferente le associazioni femministe mobilitate contro la legalizzazione della maternità surrogata. Con una lettera aperta al sindaco Giuseppe Sala, la Rete per l’inviolabilità del corpo femminile aveva denunciato la visione mercantilista della vita umana e del corpo femminile che sta dietro alle pratiche che vengono suggerite in saloni di questo tipo e aveva chiesto un intervento delle autorità: «Nello spazio, ancorché privato, si preannuncia un reato ai sensi della legge 40/2004 che non solo vieta e sanziona la gestazione per altri realizzata in Italia, ma punisce anche la semplice propaganda, là dove afferma che "Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro" (articolo 12, comma 6)». Infine, la consigliera comunale dell’opposizione Deborah Giovanati (Lega) aveva firmato una interrogazione urgente al sindaco e all’assessore alla Parità del Comune di Milano, mentre il segretario del Centro di aiuto alla Vita Mangiagalli Francesco Migliarese aveva suggerito che «la vita umana non si manipola, non si compra e non si vende» e chiedeva che il sindaco «impedisca lo svolgimento di questa controversa iniziativa commerciale».

Almeno per un altro anno, comunque, il pericolo è scongiurato.



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