venerdì 19 gennaio 2024
Dall'Ospedale milanese San Luca, della Fondazione Auxologico, al letto dove è diventato anche lui paziente. Attorno, la famiglia, i colleghi e tanti che sui social leggevano i suoi pensieri spirituali
Giuseppe Spadaro

Giuseppe Spadaro

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«Quando Dio mi vorrá a sé, io sono pronto». E Dio nella notte lo ha voluto a sé. Giuseppe Spadaro, cinquantadue anni, sposato con Livia e padre di quattro figli, è morto alle 23 di giovedì 18 gennaio. Un anno e mezzo fa gli era stata diagnosticata una delle forme più aggressive di Sla. Proprio a lui, che dei malati di Sla si prendeva cura come infermiere all’Ospedale San Luca dell’Auxologico di Milano. Il funerale è sabato 20 gennaio alle 14.45 presso la chiesa parrocchiale di Sant'Ilario Vescovo a Milano.

La Sla (Sclerosi laterale amiotrofica) è una patologia del motoneurone, cioè di quei neuroni che comandano tutti i muscoli, compresi quelli respiratori. Progressivamente si perdono tutte le funzioni neuromuscolari, compreso l’atto della respirazione. È ancora una delle malattie più terribili, perché chi ne è affetto resta lucido cognitivamente ma prigioniero nel proprio corpo.

Giuseppe aveva, di proposito, rinunciato a qualsiasi tipo di ausilio invasivo, anche al respiratore. «Se esistono ancora i santi anche in questi tempi oscuri e tribolati, Giuseppe è uno di loro», afferma Pierangelo Garzia, portavoce della Fondazione no profit sanitaria milanese –. Sapeva perfettamente quale destino lo attendeva e ha affrontato la malattia con una forza interiore e un coraggio davvero incredibili».

Circondato dall’affetto della moglie e dei figli, aveva confidato di avere desiderio del Paradiso e che chiedeva a Dio di guarire perché aveva tanti progetti da portare avanti ma soprattutto quattro figli che voleva vedere crescere. «Spesso mi immagino di svegliarmi guarito. Ma sono anche pronto a quello che vuole il Signore. Sono certo infatti che sarà la cosa migliore per me e sarà comunque una cosa meravigliosa». Nell’ultimo post pubblicato sulla sua pagina Facebook, tre giorni prima di morire, scriveva di essere molto stanco e di fare fatica a parlare. E ringraziava ancora una volta tutti gli amici, per la vicinanza e il sostegno che gli stavano dimostrando.

Alcuni suoi colleghi in dicembre avevano aperto una piattaforma di raccolta fondi per la sua famiglia. Anche Fondazione Auxologico aveva lanciato una sottoscrizione ufficiale estendendola a tutto il personale: «Giuseppe ha dimostrato con i fatti che non siamo costituiti solo di materia, di carne che va incontro alla sofferenza, ma anche di Qualcos’Altro, in grado di sostenerci e illuminarci nei momenti più duri dell’esistenza terrena. Se questo Qualcos’Altro lo si voglia cercare nel profondo del nostro essere».

Tanti sono i messaggi che stanno arrivando via social da gente che aveva imparato a conoscerlo a distanza per quelle sue righe di fede autentica che postava, su suggerimento del suo parroco: «Così posso provare a infondere un po’ di speranza a chi non riesce ad accettare la malattia e la sofferenza che comporta», diceva. Un esempio di forza interiore che era volato lontano, colpendo anche personaggi noti come Carlo Verdone, che gli aveva inviato un messaggio video di affetto e di sostegno.

Tutti riconoscono che Giuseppe è riuscito a vivere la sua malattia come si era proposto: essere quel chicco di grano che, caduto in terra, muore per portare frutto.

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