lunedì 17 marzo 2025
Nelle parole di Francesco dal Gemelli lungo il mese di ricovero una lettura della fragilità umana e del valore della cura come anticorpo contro la "cultura dello scarto"
In preghiera davanti alla statua di san Giovanni Paolo II sotto il Policlinico Gemelli di Roma

In preghiera davanti alla statua di san Giovanni Paolo II sotto il Policlinico Gemelli di Roma - Ansa

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Dei dodici anni di magistero di papa Francesco, la pagina che il Papa sta scrivendo dal Gemelli – con la parola e la persona – è la più imprevedibile ma anche una delle più interessanti, di certo commovente come poche. I suoi testi per i cinque Angelus lungo altrettante domeniche del mese di ricovero stanno andando a comporre, in un crescendo di intensità, una meditazione sul senso della malattia, la fragilità umana, il sostegno spirituale, la cura delle persone, l’esempio dei curanti. E su tutto la compagnia di Dio nella solitudine che sperimenta ogni infermo.

«Vorrei invitarvi oggi – sono le sue parole due giorni fa – a dare lode al Signore, che mai ci abbandona e che nei momenti di dolore ci mette accanto persone che riflettono un raggio del suo amore». L’idea che nella malattia nessuno va lasciato solo percorre tutti gli interventi di Francesco sulla sua esperienza ospedaliera. «L’affetto, la preghiera e la vicinanza», che sente attorno a sé e che ricorda con gratitudine già poche ore dopo il ricovero, tornano con parole che si fanno via via più intense. Come il 2 marzo, quando dice che «mi sento come “portato” e sostenuto da tutto il Popolo di Dio», mentre una settimana dopo confida di sperimentare «la premura del servizio e la tenerezza della cura, in particolare da parte dei medici e degli operatori sanitari». La «dedizione» con cui il personale ospedaliero compie il suo «servizio tra le persone malate» diventa poi lo spunto per contemplare «quanta luce risplende negli ospedali e nei luoghi di cura! Quanta attenzione amorevole rischiara le stanze, i corridoi, gli ambulatori, i posti dove si svolgono i servizi più umili!».

L’immagine della luce trasfigura l’esperienza della malattia: «Il nostro fisico è debole – riflette il Papa nell’Angelus di domenica scorsa – ma, anche così, niente può impedirci di amare, di pregare, di donare noi stessi, di essere l’uno per l’altro, nella fede, segni luminosi di speranza». I gesti di cura testimoniati dalle «tante persone che in diversi modi stanno vicino agli ammalati e sono per loro un segno della presenza del Signore» generano il «“miracolo della tenerezza” che accompagna chi è nella prova portando un po’ di luce nella notte del dolore» (9 marzo). Dentro il «periodo di prova» che lo fa sentire unito «a tanti fratelli e sorelle malati» Francesco indica il messaggio spirituale e umano della malattia: «Avverto nel cuore – si legge nella sua meditazione del 2 marzo – la “benedizione” che si nasconde dentro la fragilità, perché proprio in questi momenti impariamo ancora di più a confidare nel Signore; allo stesso tempo, ringrazio Dio perché mi dà l’opportunità di condividere nel corpo e nello spirito la condizione di tanti ammalati e sofferenti». L’anticorpo della cura contro la “società dello scarto”.

(Tutti i brani degli Angelus su Avvenire.it)

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