giovedì 29 maggio 2025
Neanche le discusse sentenze con cui la Consulta è intervenuta ancora sulla legge 40 (12 volte dal 2006) sono riuscite a oscurare il dato che la stessa legge riconosce: anche in vitro è vita umana
Il concepimento in vitro di un embrione umano

Il concepimento in vitro di un embrione umano

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Mentre sulla legge d’aborto vige il diktat della intoccabilità quando si avanza l’ipotesi di un ripensamento a favore del diritto a nascere e di un’autentica tutela della maternità durante la gravidanza, la legge sulla Procreazione medicalmente assistita (Pma) – che ha disciplinato la materia ponendosi nell’angolo di visuale del concepito – è stata oggetto, già durante il dibattito parlamentare, di un’ampia e intensa opposizione. Si ricorderà che, non potendo ottenere il rifiuto totale della Pma, la legge 40 nella sua formulazione originaria ha realizzato il massimo sforzo possibile per difendere i valori fondamentali che nella sfera pubblica presiedono alla procreazione: la vita umana e la famiglia intesa come unione stabile di un uomo e di una donna. Di qui i diritti di coloro che sono chiamati all’esistenza mediante l’impiego di queste tecniche: riconosciuti soggetti e dunque titolari del diritto a nascere e del diritto ad avere un padre e una madre stabilmente uniti tra loro.

Gli interventi volti a demolire, attraverso gli insistenti interventi della magistratura, parti importanti della legge 40, hanno seguito quattro strade. Eliminare: gli impedimenti per effettuare la diagnosi genetica pre-impianto sugli embrioni umani, il divieto di fecondazione eterologa, il divieto di sperimentazione sugli embrioni umani, il divieto di accesso alle coppie dello stesso sesso, il divieto di accesso ai single. Ciascuno di questi percorsi ha visto dal 2006 fino a pochi giorni fa dodici pronunce della Corte costituzionale: alcune hanno dichiarato la inammissibilità o la manifesta infondatezza delle questioni sollevate, oppure hanno disposto la restituzione degli atti al giudice de quo; altre invece, accogliendo le impugnative, hanno introdotto rilevanti modifiche.

La sentenza n. 151 del 2009 ha determinato un grave vulnus nella struttura di fondo della legge aprendo alla produzione soprannumeraria di embrioni e alla prassi del loro congelamento; la sentenza 96 del 2015 ha ammesso l’accesso alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili; la sentenza 229 del 2015 ha annullato il divieto di selezione di embrioni a scopo eugenetico; la sentenza n. 162 del 2014 ha introdotto la fecondazione eterologa aggettivando il preteso “diritto al figlio” come «incoercibile»; la sentenza 68 del 2025 infine ha attribuito lo status di genitore alla madre “intenzionale” che ha dato il suo consenso al concepimento in provetta di un bimbo concepito portato in grembo e partorito dalla compagna.

Due osservazioni. La prima: è interessante che nonostante tutto nella giurisprudenza costituzionale il figlio concepito non sia mai considerato un “grumo di cellule”, anzi, suppone che vi sia una certa soggettività giuridica. Nella decisione 96 del 2015 è presente la preoccupazione per la vita del concepito mediante l’auspicio di un intervento legislativo idoneo a garantire rigorosamente la serietà e la gravità dei rischi per la salute del figlio mediante «la individuazione delle patologie che possono giustificare il ricorso alla Pma delle coppie fertili e delle procedure di accertamento e una opportuna previsione di forme di autorizzazione e di controllo delle strutture abilitate a effettuarle», alla stregua del «criterio normativo di gravità»; la sentenza 229 del 2015 ricorda l’esigenza di tutelare la dignità dell’embrione e spiega che «l’embrione, quale che ne sia il più o meno ampio riconoscibile grado di soggettività correlato alla genesi della vita, non è certamente riducibile a mero materiale biologico», cosicché «il vulnus alla tutela della dignità dell’embrione (ancorché) malato quale deriverebbe dalla sua soppressione tamquam res non trova giustificazione» e che quindi «la malformazione non ne giustifica un trattamento deteriore rispetto a quella degli embrioni sani creati in numero superiore a quello necessario a un unico contemporaneo impianto». La sentenza 84 del 2016, dichiarando l’inammissibilità della questione di costituzionalità relativa al divieto di utilizzare gli embrioni soprannumerari per finalità di ricerca, torna a considerare la dignità degli embrioni generati in provetta e ripete che l’embrione «non è riducibile a materiale biologico».

Quanto al tema della genitorialità, è chiara e forte la spinta culturale a fare della volontà individuale la fonte esclusiva dell’identità sessuale e delle relazioni familiari. È un’aria che si respira da tempo e che pervade ormai quasi ogni ambito della società. Se da un lato è giusto garantire ai figli uno status certo, anche quando sono stati concepiti in provetta secondo un progetto parentale bigenitoriale omosessuale, dall’altro questo non deve essere il pretesto per sdoganare l’irrilevanza, in ordine alla crescita e alla cura dei figli, della complementarità maschile-femminile, peraltro sempre indiscutibilmente necessaria per procreare.

Concludendo: nessun pessimismo e valorizzazione di ogni frammento da cui si può ricavare una indicazione a favore del riconoscimento dei figli concepiti in provetta come esseri umani a pieno titolo e del principio di destinazione alla nascita, altrettanto dicasi per ogni spunto che illumina il significato portante della genitorialità maschile-femminile e quindi del diritto dei figli concepiti in provetta ad avere un padre e una madre; i “rimedi” giuridici (legislativi o giurisprudenziali) a situazioni già compromesse non devono diventare occasioni per legittimare i comportamenti che violano i diritti dei figli concepiti con la Pma: deve essere chiaro che di “rimedio” si tratta e che i comportamenti – nella Pma pianificati in tutto e per tutto - che a quel “rimedio” hanno portato sono inaccettabili. Chiarezza quindi nelle argomentazioni e nelle motivazioni.
* Presidente Movimento per la Vita italiano

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