giovedì 21 aprile 2022
Così un sistema sociale basato sulla tutela assoluta libertà individuale ha fallito la prova della pandemia, scegliendo chi mettere al sicuro e chi lasciare in balia del contagio. Un dogma pagato caro
Covid: anziani e fragili abbandonati, le verità scomode sulla Svezia
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La notizia è dirompente, la denuncia è durissima e ben documentata ma è durata poche ore, e forse non solo perché sovrastata dalle cronache belliche ma anche per un malcelato imbarazzo di tanti che vorrebbero evitare di fare i conti con le contraddizioni di un certo modello sociale e politico. Stiamo parlando degli esiti della politica svedese nell’affronto della pandemia, così come emerso in un recente studio pubblicato su «Humanities & Social Science Communications», di Nature.com.

Il corposo articolo contesta fatti gravissimi, a partire dal tasso di mortalità che nel 2020 in Svezia è stato 10 volte maggiore della vicina Norvegia. Nella primavera 2020 molti malati non sono stati ricoverati in ospedale e neppure visitati perché non considerati a rischio, e sono morti a casa nonostante la loro richiesta di aiuto. Una commissione incaricata dal governo di valutare le misure per limitare la pandemia ha segnalato «fallimenti sistemici» e «gravi mancanze»: ad esempio, un quinto di pazienti ricoverati nelle case di cura non sono stati valutati individualmente dal punto di vista clinico e meno di un decimo dei malati è stato esaminato da un medico, con pazienti immessi in percorsi di trattamenti di fine vita senza neppure un test positivo. Nella regione di Stoccolma il triage prevedeva che persone con più di ottant’anni, con comorbilità e obesi, non fossero ammesse in terapia intensiva, poiché «era poco probabile che si riprendessero». Le autorità hanno negato la messa in pratica di queste indicazioni, che però sono coerenti con i dati sull’età dei pazienti nelle terapie intensive. Sono stati pochi gli anziani ricoverati negli ospedali per Covid, e a loro «sono stati negati trattamenti medici appropriati (potenzialmente salvavita) senza esame medico, e senza informare i pazienti né i loro familiari o chiedere il permesso». Un’indagine indipendente ha mostrato che su 6 dei 21 distretti svedesi la «pratica di limitare l’accesso a un trattamento potenzialmente salvavita negli anziani implica che la vita di molti avrebbe potuto essere salvata o prolungata se avessero ricevuto un trattamento con ossigeno (non reso disponibile in molte case di riposo)», una denuncia gravissima.

Altrettanto grave la situazione dei bambini, sui quali comunque ci sono pochi dati attendibili perché i test per il Covid erano limitati e agli asintomatici addirittura negati. Niente didattica a distanza nelle scuole (fino a 16 anni), sempre rimaste aperte, senza eccezioni per bambini problematici o familiari a rischio, con multe per genitori che volessero tenere a casa i figli per proteggerli. Le autorità svedesi hanno sempre negato o sottovalutato che i bimbi potessero ammalarsi anche severamente e diffondere il contagio. Non solo: dalla corrispondenza interna è emerso che volessero usarli proprio per questo.
Le raccomandazioni per le mascherine e le protezioni nelle case di cura e negli ospedali sono arrivate solo il 25 giugno 2020, in generale il loro uso è stato scoraggiato e anche definito inefficace e pericoloso, imputato di diffondere paura. Lo studio denuncia poi una mancanza di trasparenza nei dati a livello nazionale e locale su casi, ricoveri e morti, con insabbiamenti e pesanti sospetti di manipolazione.

Gli autori mettono nero su bianco le responsabilità: il governo svedese ha di fatto delegato decisioni e responsabilità operative alla Public Health Agency (Pha), che sotto la guida di Anders Tegnell – di cui si sottolinea con sarcasmo la «glorificazione come idolo ed eroe svedese» operata da alcuni colleghi – ha adottato una strategia di mitigazione basata sulla responsabilità individuale, senza misure obbligatorie, senza lockdown, per lasciare la società più aperta possibile. Il distanziamento sociale è stato solo raccomandato, specie agli ultra settantenni. Sono mancati sentimenti di solidarietà nella popolazione, come invece registrati in altri Paesi: «Il messaggio principale sembrava che i più vulnerabili non saranno protetti dallo Stato (poiché dovrebbero prendere le proprie misure e isolarsi). Il resto della popolazione dovrebbe vivere la propria vita relativamente senza interruzioni. La strategia svedese è stata di conseguenza adattata per soddisfare la classe medio/alta. Gli individui più giovani e benestanti dovevano essere limitati il meno possibile nei loro movimenti quotidiani, mentre le persone meno avvantaggiate non potevano lavorare da casa».

L’articolo denuncia la «gestione autocratica» della pandemia, con la Pha «sistematicamente scorretta nella valutazione del rischio, ignorando l’evidenza scientifica», e spiega che il piano strategico del governo aggiornato al settembre 2020, aveva come punti chiave «non diffondere paura e panico, prevenire disordini sociali, limitare l’impatto nel settore alberghiero, dell’industria e dell’economia» e non diceva niente su assistenza medica e controllo del contagio. Gli autori spiegano che è stata la strategia svedese a ispirare la controversa «Great Barrington Declaration», che mirava a raggiungere l’immunità di gregge con una diffusione controllata del Covid. Una strategia «antiscientifica, immorale, infattibile». La conclusione dell’articolo è spietata: «La risposta svedese a questa pandemia è stata unica e caratterizzata da un approccio laissez-faire moralmente, eticamente e scientificamente discutibile, conseguenza di problemi strutturali nella società».

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