Suicidio assistito sì o no? La Slovenia decide con un referendum
Al voto i cittadini sloveni sulla consultazione che punta ad abrogare il provvedimento approvato in Parlamento dalla maggioranza progressista. Contrari i medici e tutte le confessioni religiose presenti nel Paese

«Siete a favore dell’applicazione della legge sul fine vita assistito approvata dall’Assemblea nazionale nella sessione del 24 luglio 2025?». È il quesito che compare domenica 23 novembre in Slovenia sulla scheda del referendum abrogativo della legge sul suicidio medicalmente assistito varata l’estate scorsa dal Parlamento di Lubiana, che sostiene il governo di centro-sinistra del premier Robert Golob, leader del partito Movimento Libertà (Gibanje Svoboda) al centro di una coalizione progressista ed ecologista, liberale su diritti civili.
Le 40mila firme necessarie per ottenere la consultazione referendaria erano state raccolte da partiti di opposizione e associazioni della società civile. Contrarie alla legge le sette denominazioni religiose presenti in Slovenia, dalla Chiesa cattolica a quelle ortodossa e luterana, oltre a musulmani ed ebrei, che hanno firmato una dichiarazione congiunta nella quale affermano che «un aiuto adeguato al morente non consiste nel permettergli di essere ucciso ma nel lenirne il dolore e offrirgli vicinanza umana» chiedendo che lo Stato rinunci ad aiutare la morte e punti invece sulle cure palliative.
La legge slovena prevede che possano chiedere il suicidio medicalmente assistito cittadini sloveni maggiorenni, in grado di decidere liberamente, affetti da malattia inguaribile e fonte di sofferenze che considerano intollerabili. Il via libera alla richiesta può essere accordato se tutte le opzioni terapeutiche relative alla malattia sono state esaurite e solo dopo che la richiesta è stata presentata due volte dal paziente al proprio medico, valutata anche da un secondo medico indipendente e al termine di un esame psichiatrico per escludere casi di depressione. La legge vieta l’eutanasia e prevede all’obiezione di coscienza dei medici.
Proprio dai medici sloveni è arrivata una bocciatura del provvedimento, tanto da veder schierati per il no le principali associazioni professionali. I sanitari criticano in particolare la genericità del concetto di malattia terminale, che a loro avviso esporrebbe l’applicazione della legge al pericolo di abusi, tanto che le sigle di rappresentanza della professione hanno aderito all’appello delle comunità religiose a creare una rete efficiente di cure palliative anziché abbandonare i pazienti a una scelta di morte, con quello che viene definito un cambio irreversibile di sguardo sulla malattia. I medici della Slovenska Medicinska Akademija in particolare ricordano che il dovere professionale davanti a una persona in fin di vita è di alleviare la sua sofferenza e non di aiutarla a suicidarsi.
Se la maggioranza politica che governa la Slovenia punta tutto sulla libertà di scelta nel fine vita, voci autorevoli della società giudicano il passo voluto dalle forze di governo azzardato e pericoloso, oltre che non necessario e pericolosamente fuorviante. Un confronto che ha dato vita a una campagna referendaria assai partecipata e dai toni accesi. Per questo gli osservatori della politica slovena invitano a guardare a un numero: 339.205. È la soglia di elettori (pari al 20% degli aventi diritto, quorum fissato dalla Costituzione slovena) che andando alle urne renderebbero valido il referendum, quasi dando per scontato che chi va a votare voglia in maggioranza la bocciatura della legge.
La Slovenia decide dunque se si possono definire alcune vite «degne» e altre «meno degne» di vivere, come ha detto l’arcivescovo di Lubiana Andrej Saje, presidente della Conferenza episcopale slovena, affermando senza mezzi termini che la legge rappresenta «un’inammissibile intromissione nella vita umana» e ricordando che la soluzione alla sofferenza e alla disperazione non può essere la morte ma la moltiplicazione dell’impegno di tutti per alleviare il dolore e garantire vicinanza umana. L’invito a non disertare le urne e a votare per l’abrogazione della legge è la conseguenza del vibrante appello. La parola passa agli sloveni.
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