Più schermi, meno pensiero critico, cervelli più fragili
Sono ormai evidenti gli effetti sulla salute cognitiva e neurologica di un abuso di smartphone e IA, specie tra i ragazzi. Il neuroscienziato Cytowic: affrontare distrazione, ansia e stagnazione intellettuale per sfruttare le tecnologie a nostro vantaggio. E stare meglio

Fa discutere, ed è prevedibile che durerà a lungo, il divieto dell’uso dei cellulari a scuola. Eppure non si tratta di una “semplice” presa di posizione didattica ed educativa, ma piuttosto di una risoluzione che, sulla base delle conoscenze scientifiche, mira anche a preservare le capacità cognitive in sviluppo dei giovani.
Di tutte le problematiche relative a come il nostro cervello, specie nella prima stagione della vita, si trovi impreparato a fronteggiare la sfida delle nuove tecnologie, dagli smartphone fino alle intelligenze artificiali, tratta estesamente un recente volume di uno scienziato del cervello che è pure costantemente in contatto con i giovani studenti: Un cervello dell'Età della pietra nell'Era degli schermi. Affrontare distrazione e ansia senza farsi travolgere (Apogeo) di Richard E. Cytowic, neuroscienziato e professore di neurologia all'Università George Washington.
Attraverso tutta una serie di studi e di ricerche, anche sul campo, Cytowic ci informa in modo molto chiaro che avere continuamente a disposizione degli “schermi portatili” come quelli degli smartphone, si traduce in una colossale fonte di distrazione proprio in ragione della struttura cerebrale dei giovani. Siccome aree come la materia bianca e le aree esecutive impiegano tre o quattro decenni per raggiungere la piena maturità funzionale, i cervelli dei giovani sono giocoforza facilmente distraibili, specie dalle sollecitazioni video dei social, fatti apposta per catturare l’attenzione e trattenerla a lungo. Senza contare che molto spesso i cervelli ancora più acerbi, quelli dei bambini, si sviluppano con quella che Cytowic considera la peggiore baby sitter di sempre: lo schermo di un tablet o di uno smartphone, proprio perché monopolizza la limitata larghezza di banda dell’attenzione di un bambino.
Una condizione percettiva e cognitiva che non si era mai verificata in 200.000 anni degli esseri umani moderni. E dunque, quali sono le conseguenze? «Un cervello giovane deve resistere contemporaneamente alle distrazioni esterne e alla sua naturale inclinazione a inseguire le novità», spiega Cytowic, «ma è una battaglia persa. Quando vanno a scuola, gli stessi ragazzi devono fare i conti con la frustrazione di dover padroneggiare argomenti per loro difficili e poco familiari, resistendo al contempo alle contrastanti lusinghe tecnologiche che promettono una gratificazione facile e veloce». A complicare ulteriormente le cose, ora si aggiunge la possibilità, anche per i giovani, di accedere all’uso delle IA che, per l’appunto, prospettano una “gratificazione facile e veloce” anche nel padroneggiare materie scolastiche per loro nuove e difficili. Ma, ancora una volta, i rischi per il loro sviluppo cognitivo? Lo abbiamo chiesto direttamente a Richard E. Cytowic.
Professor Cytowic quali sono i maggiori rischi, specie per le nuove generazioni di affidarsi all’uso delle IA, ad esempio per scrivere dei testi affidati come compito scolastico?
«Un eccessivo affidamento all'IA potrebbe indebolire il pensiero critico, la risoluzione dei problemi e la memoria, poiché gli esseri umani delegano più compiti cognitivi a macchine e chatbot. Penso alla “atrofia della calcolatrice”, in cui l'introduzione di calcolatrici elettroniche ha causato l'appassimento delle capacità aritmetiche (è successo pure a me). Ciò rischia di creare una cultura di consumo passivo, in cui le persone accettano le risposte generate dall'IA senza un'analisi più approfondita o una considerazione delle conseguenze. L'IA genera testi che sembrano autorevoli, rendendo difficile distinguere intuizioni accurate dalle allucinazioni dell'IA. Ho personalmente sperimentato allucinazioni completamente fuori luogo nel mio utilizzo di ChatGpt. Gli utenti potrebbero fidarsi dell'IA più che delle competenze umane senza verificare le fonti, portando a un'erosione dell'affidabilità della conoscenza. L'intelligenza artificiale è ottimizzata per velocità ed efficienza, ma un pensiero riflessivo profondo richiede una riflessione lenta e deliberata. Se ci abituiamo ai riassunti superficiali dell'Intelligenza artificiale, potremmo perdere la pazienza per la lettura approfondita, le argomentazioni sfumate e il ragionamento complesso».
Lei ha parlato di un problema che ha definito “fast food digitale”: cosa intende?
« Proprio come il cibo ultra-processato dirotta i nostri antichi desideri, i contenuti generati dall'Intelligenza artificiale potrebbero soddisfare la nostra sete di risposte rapide a scapito di un coinvolgimento intellettuale più profondo e significativo. Ciò potrebbe portare a una stagnazione intellettuale poiché le persone preferiscono la comodità alla complessità. Un tale rifiuto potrebbe essere devastante».
Già ora alcuni preferiscono dialogare con le IA, o addirittura fare una sorta di seduta psicoterapeutica virtuale, anziché rivolgersi a loro simili.
«I chatbot dell'Intelligenza artificiale imitano la conversazione umana ma mancano di vera empatia e intelligenza emotiva. Se abusata, l'interazione dell'intelligenza artificiale potrebbe ridurre le capacità di comunicazione faccia a faccia, portando a una maggiore solitudine e distacco sociale. Il cervello si adatta alla tecnologia e le abitudini guidate dall'Intelligenza artificiale potrebbero rimodellare il modo in cui elaboriamo le informazioni, prendiamo decisioni e interagiamo con gli altri. Le generazioni future cresciute con l'Intelligenza artificiale potrebbero sviluppare nuovi modelli cognitivi che favoriscono l'immediatezza rispetto alla deliberazione».
Tuttavia le IA sono pur sempre una grande conquista dell’ingegno umano: cosa possiamo aspettarci per il prossimo futuro e come utilizzarle a nostro beneficio anziché a nostro danno?
«L'IA potrebbe benissimo aumentare l'intelligenza umana, ma deve comprendere a fondo le esigenze, le intenzioni e le sfumature umane. Altrimenti sarà uno strumento ottuso in un mondo basato sulla complessità e sulla sottigliezza. Il futuro non appartiene all'IA che sostituisce l'intelligenza dell’uomo ma a quella che diventa un partner migliore nel pensiero e nel processo decisionale umano. L'Intelligenza artificiale automatizzerà molte attività cognitive e creative, portando alla sostituzione del lavoro nei settori della conoscenza. La società dovrà riqualificare i lavoratori e ridefinire la collaborazione uomo-Intelligenza artificiale per garantire che l'Intelligenza artificiale aumenti, anziché sostituire, l'intelligenza umana. Ci sono inoltre le sfide etiche e sulla privacy. I chatbot elaborano enormi quantità di dati degli utenti. Senza un'attenta regolamentazione, l'IA potrebbe essere utilizzata per manipolazione, disinformazione o sorveglianza intrusiva. Ancora, occorre insegnare all'Intelligenza artificiale l'intento e le sfumature umane. Man mano che essa si adatta per risolvere problemi più complessi deve comprendere le nostre esigenze, i segnali sottili e le aspettative implicite. Senza consapevolezza del contesto, capacità di conversazione naturale e sensibilità culturale, l'Intelligenza artificiale rischia di interpretare male il significato, portando a frustrazione o conseguenze indesiderate. La sfida è renderla non solo più veloce ma anche più intelligente in senso umano, capace di riconoscere sfumature, ambiguità e intenti nelle interazioni nel mondo reale».
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