Medicina e bioetica sempre più legate. Nello stile di Sgreccia
Quarant’anni fa l’Università Cattolica istituiva la cattedra di Bioetica, affidata al futuro cardinale considerato il “padre” degli studi cattolici in materia. Perché è una eredità sempre più attuale

Quarant’anni fa, la svolta. Alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica di Roma fu istituito il primo insegnamento di Bioetica, affidato al professor Elio Sgreccia, futuro cardinale. A quei tempi «non c’era alcuna facoltà, né in Italia né in Europa, che preparasse i bioeticisti – ricordò lui stesso nella sua ultima opera autobiografica, Contro vento. Una vita per la bioetica, pubblicata pochi mesi prima della sua scomparsa nel giugno 2019 –. L’insegnamento era cominciato con incarichi temporanei e annuali negli Stati Uniti. Non esisteva un manuale di bioetica e non c’era nessuna università che la insegnasse, ma solo incarichi di docenza qua e là».
Basterebbe rileggere queste poche righe per comprendere la portata di quell’avvenimento. Il quarantennale è stato ricordato nel convegno “Quale futuro per la bioetica nell’università italiana”, nei giorni scorsi alla facoltà di Economia della Cattolica a Roma. L’appuntamento si è aperto con un ricordo del cardinale Sgreccia, che è stato presidente della Pontificia Accademia per la Vita,nonché direttore del Centro di Bioetica e dell’Istituto di Bioetica creato all’interno della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’ateneo
Di lui ha parlato il vescovo Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale della stessa Università, che ha sottolineato come Sgreccia abbia contribuito in modo sostanzioso «con un confronto serrato con le discipline mediche a definire la natura epistemologica della bioetica, che poi nel tempo si è consolidata tanto da diventare disciplina irrinunciabile di ogni sapere». La sua eredità, ha aggiunto, continua a essere viva nel lavoro che viene svolto proprio dal Centro e dall’Istituto di Bioetica. Anche Alessandro Sgambato, il preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia della Cattolica, ha sottolineato il grande lascito del cardinale Sgreccia: «La bioetica – ha detto – non è una materia accessoria nel nostro corso di studi, ma rappresenta il cuore di tutta la formazione che vogliamo dare agli studenti».
Il ricordo del cardinale ha animato anche il dibattito sullo stato della bioetica nell’università italiana e sulle prospettive future. Dalla discussione è emersa la complessità di realizzare un percorso formativo unitario, data l’interdisciplinarietà della materia, che viene approfondita dalla storia della medicina, dalla medicina legale, dalla clinica medica veterinaria e dalla filosofia morale, politica e del diritto. Da qui anche la difficoltà di pensare alla professionalizzazione del bioeticista teorico. A tirare le fila ha provveduto Antonio Gioacchino Spagnolo, direttore del Centro di Ricerca in Bioetica Clinica e Medical Humanities dell’Università Cattolica. Secondo Spagnolo, il percorso ideale sarebbe quello di formarsi bene in un ambito e poi di approfondire le competenze degli altri campi. Quanto alla figura del bioeticista, Spagnolo vede più probabile la creazione di un bioeticista clinico, che possa sostenere un medico che si trova di fronte a situazioni complesse, come la sospensione di un farmaco o il possibile distacco di un respiratore. «Attualmente – ha spiegato – è una figura che non è codificata dalla legge. Nel nostro Policlinico abbiamo un consulente etico che può rispondere alle domande dei medici. Ma servirebbe allargare questa possibilità anche in altre strutture. Investire nell’ambito della consulenza etica non è un costo ma può aiutare a ridurre le spese. Ovviamente l’obiettivo non è risparmiare ma fare in modo che le decisioni tengano conto della realtà clinica di ogni persona, e non vadano a discapito del paziente, prolungando inutilmente la sofferenza e le cure».
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