«Le donne non sono incubatrici umane, la maternità surrogata è violenza»
Acceso dibattito al Palazzo di Vetro di New York sul Rapporto che invita tutti i Paesi membri a mettere al bando l’utero in affitto,. Ma la relatrice Reem Alsalem non cede. E ringrazia la ministra italiana della Famiglia Roccella

Il giorno per dire basta alla maternità surrogata a livello mondiale è finalmente arrivato: il tema della maternità surrogata si è preso la scena durante la quarta Conferenza mondiale sulle donne che si è svolta presso l’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York venerdì. In particolare, al centro del dibattito, la presentazione del Rapporto della relatrice speciale dell’Onu contro la violenza sulle donne e le ragazze, la giordana Reem Alsalem, che ha illustrato il documento mettendone in luce alcuni passaggi fondamentali. Netta la conclusione: non si può non giungere a una condanna senza appello di quella che è stata definita Gestazione per altri (o Gpa) visti i dati riportati sul suo carattere intrinsecamente violento e di violazione dei diritti umani delle donne e dei bambini, poiché «rafforza le disuguaglianze sociali, sfrutta la povertà delle donne, penalizza i neonati», con la scelta delle madri surrogate che avviene «con una dinamica che rischia di rinforzare stereotipi coloniali e discriminatori».
Alsalem ha messo in evidenza le difficoltà psicologiche delle madri surrogate costrette a rinunciare ai figli, che finiscono col diventare «incubatrici umane», ma anche la sofferenza identitaria dei bambini nati da questa pratica: entrambi vivono l’atto violento della separazione immediata, che comporta conseguenze molto negative nel tempo. Il Rapporto è nato dall’ascolto di un’ottantina di esperti e di oltre 120 realtà coinvolte fra agenzie di surrogazione, associazioni di genitori intenzionali, e le stesse donne che hanno portato avanti gravidanze conto terzi. «Si tratta di una pratica legata a sfruttamento e violenza contro donne e bambini», aveva già sottolineato la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità Eugenia Roccella, in occasione di un evento collaterale sul Rapporto organizzato dalla Missione italiana all’Onu. «La separazione innaturale del bambino dalla madre che l’ha portato in grembo e partorito è disumana – ha ribadito nel suo intervento durante la Conferenza di presentazione a New York –, non può essere solo una clausola di un contratto. È la rottura del legame umano più intimo, la negazione del diritto del bambino alla presenza e alla protezione della madre. Allo stesso tempo, è un atto di violenza contro le donne stesse, riducendo la maternità a una transazione e il corpo a oggetto di negoziazione. È per questi motivi che il Governo italiano ha preso una posizione ferma contro la maternità surrogata e che l’Italia è pronta a fare tutto il necessario per promuovere una messa al bando globale della pratica in tutte le sue forme. Lo dobbiamo alle generazioni presenti e future».
La plenaria alle Nazioni Unite che ha esaminato anche la condanna globale della maternità surrogata si è svolta a un ritmo serrato per i tanti interventi dei vari Paesi sulla tematica più allargata della violenza contro le donne. I contributi più significativi sulla surrogacy sono stati espressi, oltre che dall’Italia, da Paesi come Camerun, Etiopia, Nigeria, Egitto e dalla Santa Sede: tutti hanno condiviso la presa di posizione del documento, a fronte di altri Stati quali Canada, Australia, Sudafrica e Spagna che hanno, invece, sollevato obiezioni o chiesto chiarimenti sul modello abolizionista proposto, in particolare evocando la “body autonomy”, cioè la libertà di scegliere per il proprio corpo e i diritti personali.
«Ringrazio in particolare l’Italia ma anche Camerun, Egitto, Etiopia insieme ad altri Paesi per aver sostenuto i risultati e le raccomandazioni del Rapporto – ha detto Reem Alsalem nella sua replica ai vari contributi –. Attualmente la maggior parte degli Stati non regolamenta la maternità surrogata o la regolamenta senza poter assicurare il rispetto dei diritti umani. Le normative di fatto falliscono nell’affrontare lo sfruttamento e l’abuso: abbiamo dati che dimostrano che la domanda aumenta, esacerbata dalla discrepanza tra gli Stati e da una legislazione frammentata. I potenziali genitori si spostano dove ci sono meno leggi, meno garanzie e le opzioni più economiche. Ho citato nel Rapporto l’esempio del Regno Unito, dove la maternità surrogata è legale ma i cittadini britannici sono comunque tra i maggiori frequentatori dell’India. Più normalizziamo e legalizziamo la maternità surrogata, più aumenteremo la domanda e gli abusi».
Alsalem ha proseguito poi con argomentazioni specifiche rispetto a singoli interventi, replicando punto per punto alle obiezioni sul Rapporto: «In risposta al Canada, sulla descrizione delle esperienze di abuso da parte della maggior parte delle madri surrogate e dei loro figli, nel Rapporto affermo che si basano su testimonianze, ricerche credibili e contributi di esperti e organizzazioni che lavorano sul tema. Vorrei anche dissentire dal fatto che la pratica rifletta un diritto emergente di creare nuove famiglie: non esiste alcun diritto umano internazionale ad avere un figlio come parte dei diritti riproduttivi. Anche la distinzione tra maternità surrogata altruistica e commerciale non è reale: il rimborso nel caso della prima è così elevato che costituisce di fatto un pagamento commerciale e non possiamo parlare di autonomia o consenso quando le donne ritengono che la Gpa sia la loro unica opzione economica».
La relatrice si è espressa con decisione anche su altri punti salienti. «Lasciatemi essere molto chiara sul fatto che non sto raccomandando di adottare la piena criminalizzazione di tutti gli aspetti della maternità surrogata nel senso di criminalizzare tutti gli attori coinvolti in essa – ha puntualizzato – ma propongo approcci differenziati sul modello nordico per l’abolizione della prostituzione. Affinché funzioni deve integrare una serie di aspetti fra cui il bando di alcuni pregiudizi, come credere che non commissionare bambini penalizzi anche coloro che ne traggono profitto: il punto vero è che dobbiamo porre fine alla domanda di servizi. Mi sta a cuore dire, inoltre, che non vogliamo colpevolizzare le madri surrogate, perché sono vittime non veramente consenzienti. Voglio rassicurare su questo che non c’è alcuna stigmatizzazione, al contrario, si riconosce la vulnerabilità delle madri e le ragioni molto reali che le spingono a ricorrere alla Gpa con enormi rischi, come la sottomissione alla violenza. Faccio un appello a tutti per sostenerle, fornendo loro ogni tipo di assistenza e supporto, aiutandole a uscire dalla dipendenza da questo tipo di accordi». Infine una raccomandazione operativa: «Ci sarebbe bisogno di una piattaforma intergovernativa internazionale per discutere delle conseguenze negative della maternità surrogata. Sarei molto felice che un certo numero di Stati prendesse l’iniziativa di istituire uno strumento del genere per monitorare l’intero processo, cominciando dalle questioni che suscitano più interesse e su cui c’è accordo rispetto agli abusi, ad esempio la gestione dei bambini nati da maternità surrogata».
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