Le "Città del sollievo" per arginare le sofferenze
Comuni che non lasciano solo chi soffre per un dolore fisico intollerabile e prendono un impegno perché diventi una priorità. Quanti sono in Italia? Trentacinque in tutto. Segno che c'è molto da fare

Quando attorno al malato si crea una rete di assistenza, amicizia e solidarietà le difficoltà sembrano meno pesanti e i pensieri negativi stanno un po’ più alla larga. Lo sperimentano ogni giorno i volontari delle 35 “Città del sollievo” che si incontrano a Mantova sabato e domenica per condividere esperienze e buone pratiche, sempre possibili quando l’impegno dei singoli trova supporto nelle istituzioni. Il conferimento del titolo “Città del sollievo” è dato dalla Fondazione nazionale Gigi Ghirotti, che istituì il riconoscimento, mentre Anci Welfare ha dato il patrocinio. «La prima città fu Ripatransone (Ap) nel 2013» ricorda Vincenzo Morgante, presidente della Fondazione che compie 50 anni. «Il nostro impegno – ricorda Morgante, che è anche direttore di Tv2000 – è iniziato con i malati oncologici, poi si è esteso a chiunque sia in una condizione di sofferenza, anche psicologica». Da nord a sud, tanti si danno da fare per creare una rete di solidarietà tra amministrazioni locali, Protezione Civile, Croce Rossa e associazioni di volontariato.
«Varie realtà hanno messo in piedi hospice per i malati terminali – prosegue il presidente – mettendo insieme competenze, professionalità e sensibilità per concretizzare la cultura del sollievo. Il nostro impegno nasce dal non considerare il malato come un numero di una cartella clinica, un soggetto a fini statistici, ma una persona che, per quanto in una situazione di sofferenza e spesso in fin di vita, è titolare di diritti e meritevole del rispetto della sua dignità. Ovviamente, il sollievo si estende anche a quanti vivono accanto ai malati». Le richieste di aiuto sono ovunque molteplici. «Stiamo lavorando su ospedali e case di comunità sul territorio mantovano – racconta la psicologa Paola Aleotti, dello Iom (l’Istituto oncologico mantovano) –. Collaboriamo inoltre con il “Punto unico di accesso”, dove sono presenti volontari che accompagnano le persone verso i servizi di cui hanno bisogno. Da oltre 35 anni lavoriamo nelle cure palliative in oncologia: ciò di cui hanno bisogno i ricoverati è ascolto, accompagnamento, vicinanza. I nostri volontari svolgono questo servizio ogni giorno al letto del malato». Ma si può fare di più. «Va implementato un accompagnamento sul territorio, perché i servizi territoriali non sono così strutturati – denuncia la psicologa –. È fondamentale che malati e caregiver non siano lasciati soli».
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