Il medico e l’IA: formidabile strumento, ma la coscienza resta la mia
Alberto Scanni, uno dei grandi dell’oncologia in Italia, si confronta con l’impatto dell’Intelligenza artificiale in medicina riconoscendone l’enorme contributo, ma tracciando una linea di confine. Come ha fatto il Papa

L’introduzione dell’intelligenza artificiale in medicina può essere una grande opportunità per i suoi larghi utilizzi, ma questo «cambiamento epocale va governato e soprattutto declinato in base ai valori che caratterizzano l’uomo. E alla sua centralità» in un settore così delicato come la salute. Alberto Scanni, oncologo di fama internazionale, già fondatore e presidente della Società italiana di Psiconcologia e del Collegio italiano dei primari oncologi medici ospedalieri (Cipomo), considera le parole del Papa quasi una “guida” da seguire, perché Leone XIV «esprime delle preoccupazioni assolutamente condivisibili, nel senso che l’IA è un grande successo tecnologico della scienza. Può essere veramente utile a dare delle informazioni per quanto riguarda diagnosi e trattamenti, utile per la selezione di farmaci, addirittura ci sono delle piattaforme che sono in grado di leggere delle radiografie in modo assolutamente preciso. Da questo punto di vista l’IA è utilissima per prendere informazioni sui pazienti, ma c’è un però».
Quale? «Naturalmente l’intelligenza artificiale non può sostituirsi al mio pensiero - aggiunge Scanni -, alla mia coscienza, al mio modo di procedere nella vita, alle mie considerazioni sul senso delle cose, al mio interagire col prossimo che non può essere mediato dall’IA». C’è insomma un “io” che non può essere sostituto dalla tecnologia, per quanto sofisticata sia. L’oncologo poi scende nel concreto con un esempio: il fine vita. «In questo momento delicatissimo della vita di un paziente, come posso inserire l’intelligenza artificiale? Su alcune considerazioni che devo fare, l’IA non può sostituirsi alle decisioni che io devo prendere col malato – sottolinea –, non può sostituirsi al rapporto medico-paziente, all’empatia che io devo avere con lui. Il pericolo è che l’intelligenza artificiale diventi un “me”, non può essere mai un me, non potrà mai avere la sensibilità di comprendere gli atteggiamenti e le sofferenze di un malato guardandolo in faccia, non potrà mai sostituirsi alle sensazioni che io proverò nel toccare una mano a un paziente».
La domanda da porsi, perciò, è capire dove lo scienziato si deve fermare. «Nel momento in cui l’intelligenza artificiale interviene prepotentemente nel mio rapporto con il malato, inteso come empatia, nel momento in cui interviene prepotentemente in mia sostituzione», questo è il limite da non superare. In sostanza, «l’intelligenza artificiale come medico la impiego magari per analizzare una tac polmonare, nelle ecografie, cioè può essere un importante sussidio a una mia crescita professionale, ma non potrà essere mai sostituto del mio rapporto empatico col paziente». Bisogna perciò formare i medici su un corretto utilizzo dell’intelligenza artificiale, utile nell’ambito della diagnostica, degli screening, delle programmazioni terapeutiche, «però ci sarà sempre comunque una mediazione umana. Faccio un esempio – precisa ancora l’oncologo –: nel settore delle terapie geniche posso avere molte informazioni dall’intelligenza artificiale, però sarò sempre io che devo decidere ciò che va bene o no per quel malato. Da qui l’importanza che io conosca bene la storia di quel malato, perché l’IA diventa pericolosa quando perdo la sensibilità nel rapporto col malato».
Scanni condivide anche a pieno la proposta del Papa di far lavorare insieme scienziati e politica anche a livello sovranazionale, perché «è assolutamente corretto e utile lo sforzo di avere una visione universale su questi temi, perché si riesca a livello internazionale a stabilire dei punti fermi. Però bisogna anche dire che la scienza e le scoperte scientifiche hanno una strada tutta loro di progressione. La riflessione comunque potrebbe essere importante per avere dei punti fermi, come difesa e centralità della persona. Si parla molto di centralità della persona, ma lavoriamo davvero su questo. E se lo facciamo capiremmo presto che non c’è una macchina che mi può interpretare la persona, ma sono io che devo rapportarmi alla persona». Basta pensare ai neuroni specchio, è l’ulteriore esempio che il medico fa, «vedere un paziente soffrire fa attivare nel mio cervello gli stessi neuroni che si attivano in chi sta soffrendo e quindi in un certo senso soffro anch’io. L’intelligenza artificiale non entrerà mai dentro queste cose, sarà sempre uno strumento per capire di più e meglio, ma non sarà mai me». La sua conclusione perciò è chiara, l’IA è certo il cuore di un cambiamento epocale, ma «è un cambiamento epocale da governare e da declinare. Naturalmente bisogna stare attenti e non passare da un’altra parte, cioè non si può negare il successo. Poi lo dice anche il Papa che è come la rivoluzione industriale, un grande successo, però va commisurato alla realtà e ai valori umani, anche declinato in chiave dei nostri valori. Basta capire che l’uomo è una cosa, la macchina è un’altra».
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