Il "consumismo sanitario": ci stiamo ammalando di prevenzione?
Nel libro di Roberta Villa le incognite di un sistema centrato su test e screening

Prevenzione è una parola che abbiamo consumato: la usiamo per tutto, la associamo a qualunque controllo, la confondiamo con la sensazione rassicurante di “fare qualcosa” per la nostra salute. Roberta Villa, giornalista e divulgatrice scientifica, nel suo Cattiva prevenzione – I pericoli del consumismo sanitario (Chiarelettere), ci strappa da questa comfort zone e riporta il concetto nel suo perimetro reale: la prevenzione non coincide con l’accumulo di esami, né con il mito della diagnosi precoce a ogni costo. Dunque, cos’è prevenzione?
Ad accompagnarci tra i capitoli del volume è il concetto, ricorrente, di una prevenzione “facile”, comoda, che ci piace: quella fatta di controlli e test; e una prevenzione “difficile”, più faticosa, che ci ingaggia quotidianamente: quella che ci richiama una buona manutenzione del nostro corpo, a uno “stile di vita sano”, proposito così incredibilmente semplice che non riusciamo quasi mai a praticarlo. Siamo tutti convinti di sapere cosa sia la salute, ma è davvero così? La definizione più comune è quella diffusa dall’Oms nel 1946: «La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non semplicemente l’assenza di malattia o infermità». Se l’orizzonte è questo, non possiamo approcciarlo consegnandoci a screening e medicine: sul percorso ci siamo noi. Con tutta la cura e l’attenzione che siamo chiamati a portare verso noi stessi.
L’autrice non ci assolve, ma riconosce che il contesto sanitario attuale non ci facilita: l’idea dominante è che più controlli facciamo, più siamo al sicuro. E sotto-sotto circola un’altra convinzione: che con i soldi ci si possa comprare anche la salute. Villa ci invita a guardare dentro una scena quotidiana: entriamo in farmacia e siamo sommersi da scaffali pieni di prodotti. È il segno di un sistema che continua a puntare sull’altra faccia della prevenzione, quella che muove interessi economici e che finisce per presentarsi come la risposta a tutto. Il libro mette poi a fuoco un punto che di solito ignoriamo: anche gli accertamenti diagnostici comportano un “rischio”. Esempio classico? Gli esami radiologici: ci espongono a radiazioni, ma preferiamo non pensarci. Ancora più spiazzante è il capitolo sugli screening. Villa chiarisce la distinzione – spesso confusa – tra screening e accertamento: gli screening si rivolgono a persone senza sintomi, gli accertamenti a chi ha già un segnale da verificare. Ed è sugli screening che tendiamo ad esagerare. L’esempio dell’adeno- carcinoma del pancreas è drastico ma efficace: si potrebbe teoricamente sottoporre tutti gli over 50 a uno screening mirato, ma la malattia evolve così rapidamente che servirebbero più controlli l’anno, con un’alta probabilità di non intercettare nulla o di farlo quando ormai non c’è più margine d’intervento. Il punto è semplice: bisogna usare criterio. Selezionare chi è davvero a rischio, stabilire età, regole, intervalli sensati. Non a caso il Servizio sanitario nazionale offre solo tre screening oncologici – cervice uterina, mammella e colon-retto –: sono quelli che hanno dimostrato, dati alla mano, di salvare davvero vite.
Un altro nodo forte del libro è il ruolo del marketing della salute: strutture diagnostiche, privati, laboratori che, in un sistema “prevenzione-centrico”, trovano terreno ideale per trasformare l’ansia – «non so se sto bene» – in un prodotto da vendere. La logica è quella tipica del mercato: budget da raggiungere, clienti da conquistare, problemi da ingigantire. Un meccanismo che dovremmo imparare a riconoscere, perché ci condiziona. «Immagino che molto di quello che avete letto sinora abbia suscitato in voi delle perplessità», scrive Villa. E, sì: il libro stimola il lettore a dubitare. Il professor Silvio Garattini firma la prefazione con il tono di chi riconosce in questo lavoro una salutare scossa a un sistema troppo abituato all’automatismo. Con un forte richiamo alle “buone abitudini di vita”.
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