Fibromialgia, la malattia del dolore cronico non è più “invisibile”

Tre milioni di persone affette in Italia da una patologia che produce sofferenze estese a lungo scambiata per problema psichico. Ora si spera nella svolta dall’introduzione nei Livelli essenziali di assistenza
October 30, 2025
Fibromialgia, la malattia del dolore cronico non è più “invisibile”
Una delle immagini evocative utilizzate negli anni nelle campagne per far conoscere la fibromialgia e i suoi dolorosi effetti sul corpo
Dopo anni di battaglie e attesa, la fibromialgia entra finalmente nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), l’insieme di cure, prestazioni e servizi che lo Stato garantisce a tutti i cittadini, gratuitamente o con il pagamento di un ticket. Il via libera è arrivato dalla Conferenza Stato-Regioni, che ha approvato l’aggiornamento del nuovo elenco: accanto allo screening per i tumori ereditari, ai nuovi test neonatali per otto ulteriori malattie, alle prestazioni per i disturbi dell’alimentazione e all’ampliamento delle patologie croniche esenti dal ticket, anche la “malattia invisibile” ottiene un primo riconoscimento, anche se solo per i casi più gravi.
In Italia si stima che la fibromialgia – o sindrome fibromialgica – riguardi circa tre milioni di persone, con una forte prevalenza tra le donne (il rapporto con gli uomini è di circa 7 a 1). È una condizione dolorosa e debilitante, tuttora poco conosciuta e a lungo fraintesa: per anni è stata considerata in modo erroneo come un disturbo di origine psicologica o psichiatrica, una sorta di autosuggestione. La fibromialgia, invece, è una patologia reumatica non infiammatoria, caratterizzata da dolori diffusi, spesso accompagnati da altri disturbi come stanchezza persistente, difficoltà di concentrazione, problemi di memoria e insonnia. Il dolore è in genere costante, sordo, di tipo muscolo-tendineo, coinvolge più zone del corpo in modo simmetrico e sconvolge la vita. «Il riconoscimento dell’esenzione dalla compartecipazione al costo delle prestazioni correlate alla sindrome fibromialgica nelle forme più severe, inserito per la prima volta nell’aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza – commenta il sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato – rappresenta un passo avanti importante per le donne e gli uomini che convivono con questa condizione cronica e invalidante. Con l’approvazione della scorsa settimana in Conferenza Stato-Regioni dei due decreti che introducono i nuovi Lea si sblocca finalmente un iter fermo da otto anni, che ora auspico possa proseguire rapidamente con il passaggio alle Commissioni parlamentari. Si tratta di due diversi decreti di cui un Dpcm che prevede risorse aggiuntive e che pertanto segue un percorso legislativo definito, ma sono fiducioso che vedrà la luce nei tempi previsti». Negli ultimi anni sono state presentate numerose proposte di legge bipartisan per riconoscere la fibromialgia come malattia cronica e invalidante, costruire una rete di centri di riferimento, garantire trattamenti omogenei sul territorio e promuovere la sensibilizzazione dell’opinione pubblica. «Ho seguito personalmente la discussione di questi provvedimenti – prosegue il sottosegretario – e mi sono confrontato con le associazioni dei pazienti, ascoltando le loro esperienze e le necessità di presa in carico e cura. La forza delle evidenze scientifiche, insieme alla voce dei pazienti, è la chiave per costruire un’offerta di salute più equa e omogenea per tutti i cittadini, nel rispetto dei criteri di appropriatezza clinica e monitoraggio dell’impatto assistenziale».
L’inserimento nei nuovi Lea della fibromialgia resta per ora riservata ai casi più severi, con un punteggio Fiqr (Fibromyalgia Impact Questionnaire Revised) superiore a 82: permetterà l’accesso alla visita reumatologica, a dieci sedute annue di riabilitazione motoria e a una visita psichiatrica, perché spesso si associano forme di depressione, dovute alla convivenza con il dolore per lungo tempo.
Un percorso verso il riconoscimento da parte dello Stato che è stato intrapreso anni fa. «Oggi – osserva Edith Aldama, referente Cronicità per la Pastorale degli anziani della diocesi di Roma – parliamo di un risultato importantissimo, anche frutto della vicinanza costante e determinata della Chiesa. Quando papa Francesco in piazza San Pietro salutò i malati le sue parole rimbalzarono in tutto il mondo richiamando l’attenzione anche delle istituzioni su una malattia spesso trascurata». Nessun malato vuole essere a carico ma desidera essere inserito nella società. I pazienti sono spesso in età lavorativa e perdono il proprio impiego perché, senza le cure necessarie la patologia si cronicizza. Secondo le statistiche, si arriva alla diagnosi dopo una media di otto anni e le forme gravi, spesso non diagnosticate in tempo, rendono difficile raggiungere una stabilizzazione. Col tempo, anche la famiglia ha difficoltà crescenti a gestire la situazione, a cui si aggiunge il peso sociale ed economico, visto che spesso è necessario ricorrere privatamente alle spese sanitarie».
L’attività della Pastorale della Salute di Roma in questo ambito, avviata nel 2020, è arrivata a fondare un Centro di ascolto condotto dagli stessi pazienti e a offrire un numero telefonico dedicato e un profilo Facebook assai attivo («Area malattie reumatiche Upsr. Fibromialgia insieme si può»). Nel corso degli anni migliaia di persone hanno ricevuto sostegno e accoglienza, creando una rete molto stretta anche con i medici. Don Carlo Abbate, oggi incaricato dell’Ufficio per la Pastorale Familiare-sezione Anziani, della diocesi di Roma e incaricato regionale della Pastorale della Salute, ribadisce l’importanza del lavoro comune: «Come incaricato della Pastorale familiare, ma anche come testimone storico dell’Ufficio per la Pastorale Sanitaria della diocesi di Roma, ricordo l’inizio di questo cammino con monsignor Paolo Ricciardi, che ebbe l’intuizione di accendere un focus sui malati che all’epoca erano “invisibili”. Il percorso, anche con il sostegno di don Dario Gervasi, ha portato risultati importanti, come l’inserimento della patologia nei Pdpa (Percorsi diagnostico terapeutici assistenziali) a livello regionale. Quando una persona si ammala tutta la famiglia entra nel vortice del dolore e anzi, come ha ben espresso il professor Attilio Romanini, diventa l’unità sofferente. Se non si stabilisce un percorso di presa in carico dell’intero nucleo familiare, il rischio dell’isolamento diventa purtroppo una realtà concreta».
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