Cure palliative, gli specialisti decidono la linea sul suicidio assistito

Coinvolgimento nel percorso decisionale del paziente, per alleviarne la sofferenza e consentirgli una scelta realmente libera? Oppure restarne fuori per evitare equivoci? Il Congresso dei palliativisti deve decidere da che parte andare
November 20, 2025
Cure palliative, gli specialisti decidono la linea sul suicidio assistito
Un hospice
Circa 590mila adulti avrebbero bisogno di cure palliative, ma solo un paziente su quattro riesce ad averle. Sempreché si trovi a vivere in una città virtuosa, dove cioè sono disponibili centri specializzati e medici palliativisti: solo 9 regioni su 21 mettono infatti a disposizione équipe domiciliari e appena 5 Regioni forniscono attività di consulenza intra ed extra ospedaliera per la presa in carico precoce; per il livello ambulatoriale il numero delle Regioni cala a 3. Per farla breve, tre anni fa la legge di Bilancio (la 197) ha posto come obiettivo di garantire entro il 2028 l’accesso alle cure palliative ovunque al 90% di chi ne avrebbe diritto, ma i livelli di accesso sono ancora sconfortanti: mentre il Trentino ha superato il 70%, il Veneto il 55%, Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna sono sopra il 40%, Lazio e Umbria si fermano tra 39 e 36%. In coda, Puglia al 33%, Friuli Venezia Giulia al 31%, Sicilia al 23%. Ancora peggio, Campania e Marche circa l’8,5%, Calabria 6,4% e Sardegna al 4,3%. Ecco perché gli esperti presenti al XXXII Congresso Nazionale della Società Italiana di Cure Palliative (Sicp) – dal 20 al 22 novembre a Riccione (nella foto, il logo dell’evento) – chiedono ancora oggi con forza di anticipare la presa in carico e superare la visione delle cure palliative come intervento dell’ultimo momento.
Il logo del Congresso Sicp
Il logo del Congresso Sicp
«La segnalazione è tardiva. Il 68% dei pazienti presi in carico ha una malattia in fase terminale, con una prospettiva di pochi giorni di vita – denuncia il presidente della Sicp Giampaolo Fortini –. La quota di pazienti affetti da patologie croniche nello stadio finale che muoiono in ospedale senza cure palliative è invece altissima». I problemi sono noti da tempo, ma ancora irrisolti. «C’è una mancata conoscenza delle cure palliative, le risorse sono carenti. I palliativisti pochissimi». In sostanza manca il 50% dei medici necessari: 750 dei 1.600 richiesti e due terzi degli infermieri (1.500 su 4.550). Intanto la richiesta di suicidio assistito preoccupa sempre di più.
«Chiunque deve poter contare sulle cure palliative, e non in modo tardivo. Solo così la scelta del suicidio assistito potrà essere veramente non condizionata da una mancanza di alternativa – rimarca Fortini –. I nostri princìpi fondanti si basano sul rispetto della vita, ma la preoccupazione è che le cure palliative siano tirate in ballo su un tema che è diverso rispetto a quello di cui ci occupiamo: le cure palliative non sono legate alla fase finale della vita ma si prendono cura di tutti i bisogni fisici, psicologici, sociali e spirituali espressi dalla persona nella sua interezza». Inutile negare che sul tema del suicidio assistito le posizioni dei palliativisti non sempre coincidono, tanto che la Sicp ha affidato a un comitato per le questioni etiche il compito di redigere un documento che sarà poi discusso durante il congresso.
Danila Valenti, presidente del Comitato della Sicp, prova a chiarire e fissare alcuni punti fermi: «Il suicidio medicalmente assistito e le cure palliative rispondono a domande e a bisogni completamente diversi. La stragrande maggioranza di persone che curiamo vivono intensamente la vita nella malattia e “strapperebbero” alla malattia anche mezz’ora. È certo che le cure palliative non abbandonano mai, ma proprio mai, il paziente che soffre. Mai. Anche nel caso in cui chieda il suicidio assistito, che non è di nostra competenza». E ancora: «Non possiamo alimentare e creare fraintendimento con le cure palliative, perché le persone che abbiamo in cura, e che mai vorrebbero il suicidio, nel fraintendimento non si affiderebbero alle cure palliative e rimarrebbero nel dolore, nella disperazione e nella solitudine assistenziale di 40 anni fa, quando le cure palliative non erano sviluppate e diffuse». Gli scenari degli altri Paesi sollevano intanto scenari ancora più inquietanti.
Come ricorda Marco Maltoni, direttore di Cure palliative Romagna e Coordinatore della Rete Cure palliative Ausl Romagna, «in Olanda e in Canada in pochissimi anni il suicidio assistito, a volte insieme all’eutanasia, ha raggiunto il 6% delle morti per patologie croniche, in Quebec il 7%. Certi medici di famiglia sono coinvolti in tre procedure di questo tipo alla settimana, non riuscendo più a seguire il resto degli altri pazienti. Queste percentuali vorrebbero dire oggi in Italia circa 35mila morti all’anno per suicidio assistito». Di fronte alla fragilità, secondo il palliativista Marcello Ricciuti, componente del Comitato nazionale per la bioetica, la risposta dovrebbe essere univoca: «Se la sofferenza non è curata, accolta, accompagnata è chiaro che può sorgere anche la tentazione del suicidio assistito, che a non va considerato un bene che il paziente debba poter scegliere tra altri beni. La medicina deve conservare a tutti i livelli, anche quello palliativo, la sua vocazione a curare, prendersi cura, e non contemplare nelle proprie possibilità quella di dare la morte su richiesta».

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