Cardiopatie congenite: una mostra fatta col cuore
Alessandro Giamberti (primario cardiochirurgia Malattie congenite Irccs San Donato): «La cicatrice dei miei pazienti: tatuaggio della vita. Lavoriamo a un'unità di specialisti. Con noi 100 art

«I miei pazienti hanno questa cicatrice. Questo taglio. Complica l’approccio alla vita perché “rivela”. Viene vista, e vissuta, come un fatto negativo. Sono andato a cercare sul dizionario Treccani i sinonimi della parola “taglio” e prima di trovarne uno che abbia una valenza positiva bisogna arrivare alla 34esima voce. Quelle prima sono tutte negative: amputazione, recisione, soppressione. Poi arriva “darci un taglio con una situazione penosa”, “rinascita”. E’ quello che voglio esprimere: di una cicatrice non ci si deve vergognare, il contrario: è il tatuaggio della vita, perché proprio grazie a quel taglio che queste persone possono continuare a vivere».
Alessandro Giamberti di tagli ne fa tutti i giorni. E’ primario di cardiochirurgia delle Malattie congenite dal neonato all’adulto presso l’Irccs Policlinico San Donato. Le cardiopatie sono le malattie congenite più frequenti nel mondo occidentale. Colpiscono un bambino ogni 100 nati vivi. Significa che ogni anno 3.000-3.500 piccoli cardiopatici nascono in Italia (attualmente sono quasi 200mila, mentre sono più di due milioni e mezzo in Europa). Numeri grossi.
«Nascere con una malattia al cuore significa che quasi sempre devi subire un intervento chirurgico. E un 30-40% di questi pazienti poi dovrà continuare a essere seguito nel tempo, perché si sviluppano problemi che comportano nuove operazioni o richiedono cure importanti – spiega Giamberti -. Sono pazienti che noi accompagniamo per tutta la vita: ne ho visti molti nella pancia della mamma, li ho visti nascere, li ho visti crescere, studiare, ho fatto da testimone alle loro nozze, tenuto a battesimo i loro figli, con cui poi vengono a visita. Sono amici. Sono famiglia».
A San Donato c’è il più grosso centro in Italia, e tra i più importanti in Europa, dedicato a questi bambini, ma soprattutto a questi bambini che diventano grandi. Si definiscono “congeniti adulti”. «Il fatto è che per alcuni di loro verso i 40-50 anni le cure non hanno più nulla da offrire – continua il chirurgo -. Servirebbe un trapianto, ma è rarissimo che ci arrivino perché c’è una grande carenza di donazioni d’organo in Italia, e quando un cuore è disponibile viene destinato a persone che non abbiano un pregresso di malattie, interventi, trasfusioni (che comportano una sensibilizzazione nel rigetto). Quindi molti dei nostri pazienti arrivano, molto giovani, in una condizione che potremmo assimilare a quella del fine-vita dei pazienti oncologici. Ma se per i pazienti oncologici il fine-vita ha un’aspettativa di qualche mese, e ci sono strutture dedicate, per i nostri pazienti è tutto molto più lento: puoi restare in vita per molti anni, ma con importanti implicazioni psicologiche. E’ una condizione difficilissima da gestire: è frequente la depressione, ci sono stati casi di suicidio. Noi vogliamo creare all’interno della nostra struttura una piccola unità, inizialmente di due giovani medici, che andranno in Inghilterra a studiare nei centri dove ci sono protocolli codificati e standardizzati per la gestione e l’assistenza di questi pazienti più fragili. Pensiamo a due borse di studio per questi due specialisti».
Giamberti ha deciso allora di coinvolgere alcuni artisti e gli studenti dell’Accademia di Brera. «Per cambiare la percezione della ferita che i nostri pazienti custodiscono». Ne sono nate 137 opere che saranno esposte da questa sera alle 18:00 alla Fabbrica del vapore (via Giulio Cesare Procaccini 4, ingresso gratuito), fino a domenica, nella mostra “I colori della speranza”, curata da Giovanna Campioni e Renato Galbusera. Il progetto, promosso da Aicca Ets (Associazione Cardiopatici congeniti bambini e adulti) prevede poi che le opere vengano vendute in collaborazione con la Casa d’Aste “Il Ponte” di Milano, e il ricavato finanzierà le due borse di studio.
«Si chiude il cerchio», conclude Giamberti. «Ho la fortuna di dare felicità agli altri per lavoro: quando vedi due genitori giovani che ti affidano il bene più grande che hanno e lo restituisci a nuova vita, è una soddisfazione enorme. Come, al contrario, è terrificante dover dire che non ci si è riusciti, perché accade. Un mese fa abbiamo salvato una bambina che pesava 750 grammi. C’è qualcosa di più bello? Facciamo counselling prenatale: già alla 16esima settimana di gestazione è possibile una diagnosi di cardiopatia congenita. I genitori vengono da te per capire cosa fare. Da tecnici siamo chiamati a dare un parere “asettico”, Ma si deve dare un messaggio di speranza. Non può essere che o sei perfetto o non vali niente. io dico: viva l’imperfezione. Ci si può convivere. Aiutateci a renderlo possibile».

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