Suicidio assistito per due malate di Sla. Ma la soluzione della malattia non è la morte
Le autorità sanitarie dell’area napoletana hanno dato il via libera per l’accesso alla “morte medicalmente assistita” di due pazienti. Ma oggi le cure palliative in Campania arrivano a meno del 10% di chi ne ha bisogno. Qual è la priorità per la cura?

Altre due persone accederanno al suicidio medicalmente assistito in Italia. Questa volta si tratta di due donne del Napoletano, entrambe affette da Sla. Per loro è arrivato l’ok del Comitato etico territoriale Campania 2, che ha esaminato le relazioni trasmesse dalla Commissione tecnica multidisciplinare permanente istituita dall’Asl Napoli 3 Sud sullo stato di salute delle due richiedenti. L’azienda sanitaria fa sapere, in una nota, di stare «organizzando le modalità di attuazione delle procedure di autosomministrazione dei farmaci nelle modalità più idonee alle condizioni cliniche delle pazienti».
La sentenza 242 del 2019 della Corte costituzionale, che ha segnato uno spartiacque in Italia sulle scelte di fine vita, apre ancora una volta le porte a chi ha deciso di porre fine alle sue sofferenze con il suicidio. Da quel pronunciamento in poi, in attesa di una legge nazionale, l’aiuto al suicidio non è più punibile se richiesto da una persona che è affetta da una patologia irreversibile, che causa sofferenze ritenute intollerabili, è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale ed è pienamente capace di intendere e volere.
Una delle due donne napoletane che hanno chiesto e ottenuto l’avvio della procedura, Ada, 44 anni (dell’altra non è stata resa nota l’identità), è apparsa in un video diffuso dall’Associazione Luca Coscioni, che l’ha sostenuta (come gli altri casi precedenti) nella sua richiesta. A parlare per lei, che non può più farlo, è la sorella. «Non ci sono parole – dice la donna per conto della sorella malata − adatte a descrivere il mio stato d’animo, ma proverò a rendere l’idea. Quando ho letto le parole “parere favorevole”, ho sentito letteralmente un peso scivolare dalle mie spalle». Ora, sostiene Ada, «sono padrona della mia vita e del mio corpo». La donna lavorava in Campania come operatrice sociosanitaria. Nel gennaio 2025 si era rivolta all’Asl Napoli 3 Sud perché verificasse il possesso dei requisiti per l’accesso alla morte volontaria assistita. Le è stato dato prima un parere contrario, ma lei ha presentato un ricorso d’urgenza. Le nuove valutazioni del comitato le consentiranno il suicidio.
Secondo Domenico Menorello, portavoce del network associativo “Ditelo sui tetti”, «la sentenza 242 della Consulta non istituisce alcun obbligo per il Servizio sanitario nazionale di somministrare la morte assistita» perché «dichiara semplicemente non punibili alcune fattispecie di reati. D'altronde, la funzione essenziale della sanità non è quella, ma è piuttosto curare il malato. È auspicabile che la legge sul fine vita che dovrebbe essere approvata in Parlamento ponga fine a questo caos». Per Pasquale Giustiniani, professore emerito presso la Pontificia Facoltà teologica dell’Italia meridionale e già membro del Comitato regionale di bioetica per l’aiuto al malato terminale, «fornire consulenza medica e farmaceutica al paziente perché si somministri farmaci letali significa assistere, come complici e comunque erogando risorse economiche collettive, alla volontà suicidaria maturata da una persona, la quale magari vi approda come esito “disperato”, perché non adeguatamente accompagnata da terapia del dolore, cure palliative e assistenza domiciliare integrata, e soprattutto non aiutata mediante consulenza psicoterapeutica e psichiatrica».
Per Aldo Bova, presidente del Forum sociosanitario, «c’è da restare attoniti rispetto a questa decisione così semplicistica che non ha rispetto della vita, la quale invece va accompagnata anche nella sofferenza. Dare l’ok al suicidio assistito significa volersi liberare di queste persone gravemente sofferenti. Sia piuttosto alleviato piuttosto il loro dolore attraverso le cure palliative: l’alternativa esiste». Antonio Brandi, presidente di Pro Vita e Famiglia Onlus, ritiene «raccapricciante che, mentre solo l’8,5% dei pazienti campani che ne hanno diritto possono accedere alle cure palliative, l’Asl Napoli 3 stia predisponendo le modalità di somministrazione di farmaci letali per due pazienti che avevano chiesto di accedere al suicidio medicalmente assistito, coinvolgendo i loro medici di base».
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