A Udine è sceso in campo il colpevole silenzio del calcio

La partita tra Italia e Israele non doveva essere giocata. Ora mi auguro che lo sport torni a essere strumento di pace, giustizia, rispetto
October 14, 2025
A Udine è sceso in campo il colpevole silenzio del calcio
Manifestazione di protesta a Udine per la partita di calcio Italia-Israele a Udine per le qualificazioni del mondiale
Spengo il mio computer e anche il televisore, proprio adesso, sono più o meno le h. 20.30 di questo martedì 14 ottobre. Fra qualche minuto, a Udine, andrà in scena un evento sportivo che non è solo una partita di calcio. In una città militarizzata, con i cecchini sui tetti, il rumore degli elicotteri, migliaia di agenti a presidiare le strade e alcuni cittadini invitati ad abbandonare temporaneamente le loro case, si gioca una partita che non avrebbe dovuto esserci. Questa è la mia opinione e sono pronto al confronto con chi sostiene il contrario, ma non con chi ancora dice che sport e politica devono restare separati: costoro avrebbero dovuto fare un salto a Udine, e guardare una città che oggi ricorda una di quelle della Cisgiordania. Fuori dallo stadio, hanno sfilato in corteo molte più persone di quante ne sono entrate dentro. Non sono andate lì a tifare, ma a testimoniare che la verità non si può cancellare, né anestetizzare. Lo hanno fatto con un corteo pacifico che ha visto gli unici episodi di tensione quando la manifestazione era già finita e certamente non a causa delle famiglie, degli scout, delle società sportiva che erano lì a sfilare, nel pomeriggio. Sono naturalmente felice per la tregua, per la liberazione degli ostaggi israeliani e per i prigionieri politici palestinesi tornati, gli uni e gli altri, alle loro famiglie, ma tutto questo non è ancora pace. La pace è un processo da costruire, con due riferimenti irrinunciabili: la giustizia e il rispetto della memoria. Non si possono cancellare con un colpo di spugna le responsabilità del governo Netanyahu a Gaza, né si possono dimenticare decine di migliaia di vittime innocenti e quei bambini la cui unica colpa resta quella di essere nati lì. La mia convinzione non cambia: questa partita non doveva essere giocata per la sospensione di Israele da tutte le competizioni sportive internazionali, dopo due anni di violazione delle regole dello sport, della Carta Olimpica, degli statuti di FIFA e UEFA. Ho sottolineato, e continuerò a farlo, l’ignavia di chi ha deciso di non decidere.
Nel frattempo, ha parlato la società civile: lo ha fatto in Spagna, fermando la Vuelta, a Oslo domenica scorsa, oggi a Udine. Mi auguro che lo sport torni a essere strumento di pace, di giustizia, di rispetto capace di accompagnare il percorso della pace. Dunque, mi auguro che il Comitato Olimpico palestinese e le federazioni sportive possano tornare a promuovere lo sport, almeno in Cisgiordania. Perché a Gaza non si possono immaginare attività sportive per almeno dieci anni. Vorrei che stasera i protagonisti, coloro che fra pochi istanti scenderanno in campo, e gli spettatori di questa partita, sentissero il silenzio di ottocento sportivi palestinesi uccisi e, insieme, il rumore del novantacinque per cento delle infrastrutture sportive rase al suolo a Gaza. Mi resta l’illusione di un gesto simbolico, ma temo non succederà. Spengo la tv perché mai come questa sera il risultato di questa partita di calcio, non mi interessa. Mi restano in testa solo le parole del pastore luterano di Betlemme, Munther Isaac, la notte di Natale del 2023: «Noi palestinesi ci risolleveremo, l’abbiamo sempre fatto. Non so voi però, voi che siete rimasti a guardare mentre ci sterminavano. Non so se potrete mai risollevarvi».

© RIPRODUZIONE RISERVATA