Una crisi del “modello Milano”? Forse. Ma ci sono già buone idee
Caro Avvenire, abito in un comune al confine con Milano e sto sottoscrivendo gli abbonamenti annuali ai mezzi pubblici per i miei tre figli, iscritti a un liceo milanese che dista da casa poco più di 15 minuti di metropolitana. La tariffa “scontata” Atm per gli studenti che risiedono nei comuni dell’hinterland connessi al capoluogo è di 345 euro. Colpisce che, se abitassimo una fermata di metrò più in là, dentro il “fortino” di Milano, lo sconto per i giovani rispetto alla tariffa piena non sarebbe del 25%, ma del 40%, e noi genitori potremmo acquistare abbonamenti annuali a metà prezzo. Ai “poveri” dell’hinterland invece quei benefici non sono concessi. La Grande Milano è solo un modo di dire? Benedetta Lombardi Cara signora Lombardi, mai si è parlato tanto del “modello Milano” e, come spesso capita in Italia, per dirne male. La causa scatenante sono state le inchieste sull’edilizia, ma in breve tempo tutta una modalità di crescita e di gestione della città è stata messa sul banco degli imputati. A quel che capisco, per molti si è trattato di vedere improvvisamente ciò che era rimasto celato sotto le apparenze. Oppure, sostenuti dalle dure espressioni usate dai Pm nei loro provvedimenti (forse a volte persino eccessive), alcuni hanno preso coraggio nel criticare ciò che prima suonava stonato non ricoprire di elogi. In tanti hanno sottolineato che la metropoli luccica di grattacieli avendo però espulso i meno abbienti, impossibilitati a pagarsi una casa o anche solo a sbarcare il lunario con il costo della vita schizzato alle stelle. Ora, cara signora Lombardi, lei dice che i milanesi in realtà hanno più benefici di chi vive – o ha dovuto spostarsi – nei comuni della cintura. Non è una contraddizione decisiva. Eppure, offre l’occasione per riflettere in modo meno schematico. Se il modello Milano viene scrutinato come specchio di tendenze sociali, economiche e culturali di questi anni, ben venga il dibattito. L’importante, a mio avviso, è che non si attribuisca ogni male a pochi individui (delle imprese, della politica e delle professioni), le cui responsabilità penali sono tutte da accertare e che, soprattutto, non sono nelle condizioni di orientare il mondo intero. Sì, perché a Milano si sono manifestate le contraddizioni di un sistema globale. Quando un centro urbano diventa meta di visitatori internazionali, si amplifica la cosiddetta gentrificazione – affitti aumentati, commercio di fascia più alta, sparizione di alcuni servizi per i residenti – che svantaggia parte degli abitanti. Si tratta però di un fenomeno creato dalle decisioni convergenti di singoli individui e società. Il turismo in ogni caso porta reddito e occupazione. I bassi salari dipendono invece dalle condizioni strutturali delle nostre aziende, che non investono in innovazione e giocano la competitività sul costo del personale. L’arrivo di ricchi stranieri dalla spesa facile, attirati da tassazione di favore, è dovuto a una legge nazionale del governo Renzi che nessun esecutivo ha poi sostanzialmente modificato. Quanto ai grattacieli, lo dico da milanese, in generale abbelliscono la città e danno piacere alla vista anche per chi (come il sottoscritto) non si può permettere di abitarvi. Infine, il culto del denaro che si ritiene abbia scalzato la borghesia illuminata del passato e fatto dimenticare i poveri: beh, mi pare sia esaltato da destra a sinistra senza troppe differenze. Fa eccezione la Chiesa ambrosiana, che per gli ultimi continua a spendersi con dedizione ed efficacia. Tutto questo non esime dal provare a porre rimedio localmente ad alcune emergenze. E qui, cara signora Lombardi, viene utile il suo richiamo alla Grande Milano. Su queste colonne, Massimo Calvi ha lanciato una proposta per il caro casa che meriterebbe la considerazione delle nostre amministrazioni. Il rettore dell’Università Bocconi Francesco Billari l’ha inserita in un elenco di misure da realizzare. Facciamo un unico Comune – è il senso – e si avrà un’offerta immobiliare più ampia, con un calmieramento dei canoni in un’area omogenea, dotata di un nuovo appeal geografico. Potrebbero seguirne benefici a cascata per i servizi e i trasporti. L’unica obiezione che mi sovviene, oltre all’enorme lavoro burocratico, è la “cancellazione” dell’identità di sestesi o cinisellesi o colognesi, fagocitati in un’unica area metropolitana. Ma si deciderebbe con un referendum. Milano resta, pur con le ambiguità di un luogo comune, laboratorio d’Italia, grazie alle università e alle risorse culturali, all’imprenditoria, all’associazionismo, al volontariato, ai media e alla sua vitalità, compresa quella espressa da centri sociali come il Leoncavallo (a patto che si rispetti la legalità). Serve oggi più partecipazione di cittadini consapevoli per mantenere viva quella tradizione, innervando la classe dirigente con rinnovato senso etico. Va infatti rilanciato uno sviluppo equilibrato, sostenibile, che abbia tra i suoi primi obiettivi quello di ridurre il numero degli esclusi. Non vi sono tempi d’oro da rimpiangere, ma certamente si può e si deve fare meglio. © riproduzione riservata
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