La beneficenza e i gadget che ci inondano la posta
Una lettrice chiede che si fermi l'abitudine di accompagnare con omaggi la richiesta di contributi. Un meccanismo psicologico ben noto e studiato: il principio di reciprocità. Ma l'importante è donare bene

Caro Avvenire,
potrebbe spiegare a Ong e associazioni caritatevoli che, se una persona ha inviato un bonifico, non c’è bisogno di inondare la cassetta della posta di giornali, calendari e altro per ricordare le proprie azioni/benemerenze? La persona in questione non ha bisogno e forse non ha tempo di leggere tutto. La beneficenza si fa, certamente dettata dal cuore, ma soprattutto in base alle proprie disponibilità! Ricevere un calendario, una penna, dei semi, un giornaletto a me fa pensare una cosa sola: della cifra X che ho donato, quanto finisce a chi ne ha realmente bisogno? Spero di essere stata chiara.
Ornella Frizzera
Macerata
potrebbe spiegare a Ong e associazioni caritatevoli che, se una persona ha inviato un bonifico, non c’è bisogno di inondare la cassetta della posta di giornali, calendari e altro per ricordare le proprie azioni/benemerenze? La persona in questione non ha bisogno e forse non ha tempo di leggere tutto. La beneficenza si fa, certamente dettata dal cuore, ma soprattutto in base alle proprie disponibilità! Ricevere un calendario, una penna, dei semi, un giornaletto a me fa pensare una cosa sola: della cifra X che ho donato, quanto finisce a chi ne ha realmente bisogno? Spero di essere stata chiara.
Ornella Frizzera
Macerata
Cara signora Frizzera, è stata sufficientemente chiara. Penso sia esperienza comune anche di altre lettrici e altri lettori avere fatto una donazione e ricevuto in seguito nuove sollecitazioni a contribuire, accompagnate da omaggi di diverso tipo, ovviamente non richiesti. Ciò accade non solo per l’associazione cui avevamo inviato denaro, ma spesso cominciamo a trovare nella posta richieste anche da parte di altri enti, con i quali non eravamo in contatto. Immagino, ma non ne sono sicuro, che il fenomeno sia dovuto al fatto che almeno alcune realtà si affidino ad agenzie specializzate, dotate di maggiori capacità di marketing e di un elenco di contatti più ampio.
Il motivo dei piccoli oggetti allegati alle lettere è presto detto. Si tratta di un meccanismo psicologico ben noto e studiato: il principio di reciprocità. Quando riceviamo un regalo – anche da un estraneo – tendiamo a provare un senso di obbligo verso chi ce lo ha fatto. È una dinamica umana naturale: se qualcuno ci offre qualcosa, viene spontaneo restituire il favore (in modo più o meno proporzionato). Le associazioni usano questa strategia sperando che, sentendoci “in debito”, saremo spinti a donare di nuovo o per la prima volta. Ma qui sorge un problema: chi invia spesso contributi lo fa per convinzione personale e disponibilità economica. Essere sommersi di gadget può trasformare un gesto spontaneo in una forma di stress. Inoltre, nasce il dubbio legittimo che lei, gentile signora Frizzera, solleva: quanti soldi vengono destinati alla causa promossa e quanti a procurare e spedire materiale promozionale? Siamo probabilmente d’accordo che la solidarietà dovrebbe essere un gesto libero e consapevole, non un contratto implicito. Per alcuni donatori, come accade a lei, questo bombardamento comunicativo – pur pensato per “ringraziare” anticipatamente – finisce con il provocare l’effetto opposto: allontanare invece che avvicinare. Tuttavia, sulla base della diffusione di questa forma di persuasione implicita, si deve intuire che sui grandi numeri essa funzioni, ovvero fornisca un afflusso di sostegno maggiore delle più tradizionali modalità di disseminazione del messaggio caritativo. In questo senso, non mi sento di biasimare le associazioni, molte di esse sono di ispirazione cattolica, che ricorrono al “principio di reciprocità” per finanziare attività benefiche svolte in modo disinteressato e trasparente. Diverso è il caso di enti meno limpidi che si accodano e sperano di lucrare sul buon cuore di tante persone “catturate” dal meccanismo descritto sopra.
Si può forse concludere che pure in questo settore servirebbero regole chiare o procedure definite a tutela del pubblico e delle organizzazioni autenticamente impegnate in progetti solidali. Per esempio, un registro volontario e supervisionato da un’autorità indipendente che fornisca una sorta di bollino di qualità, da usare specificamente nell’ambito delle iniziative promozionali a distanza. Nel frattempo, mi sento di raccomandare il sostegno ai tanti soggetti di altruismo organizzato – a partire dalla Caritas italiana – che offrono sicure garanzie di utilizzare al meglio la nostra generosità.
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