Ringhia Gattuso, ma tanto la morale non cambia
Il ct azzurro ricomincia dai fischi dei 500 "tifosi sfaccendati" che erano andati fino in Moldavia. Stasera a San Siro, forse, un inutile Italia-Norvegia

Rino Gattuso sta al calcio come Maurizio Landini, leader della Cgil, sta al sindacalismo. Rino ringhia, difende i suoi lavoratori privilegiati della terra, i calciatori della Nazionale. Non accetta i fischi della spedizione dei 500 ultrà, assai poco garibaldini, in Moldavia, che stizziti a trequarti del match, con il risultato ancora inchiodato sullo 0-0 hanno intonato un coro da flagelli d’Italia: «A lavorare, andate a lavorare». Nulla di più anacronistico, perché nel bene come nel male, più nel male in questo caso, gli azzurri di Gattuso fino a prova contraria stavano cercando di lavorare, sul campo. Una gara agra quella con i moldavi: il seminato è poco e il raccolto è da vita agra, fino al provvidenziale gol di Gianluca Mancini (da non confondere con l’ex ct, Roberto Mancini, ormai arabizzato, dopo aver fatto il selezionatore dell’Arabia Saudita ora allena i qatarioti dell’Al Sadd). Mancini, il centrale romanista ha liberato l’Italia al minuto 88, doppio infinito per la cabala, gol da tenere stretto e portare a casa. Poi il bis del “pulcino” Pio Esposito, 2 gol in 4 presenze azzurre per il bomber interista, roba da Gigi Riva, ha riportato solo un attimo di serenità, perché poi a bocce ferme Gattuso è costretto a ringhiare. «Mi dispiace per i cori che ho sentito, è una vergogna». Ora, possiamo discutere sul fatto che chi chiede a Zaccagni e compagnia di andare a lavorare era “disoccupato” o quanto meno in ferie a Chisinau, di giovedì sera, per andare a vedere una partita di pallone quasi inutile ai fini della qualificazione ai Mondiali. L’Italia è condannata ai playoff di marzo, perché la Norvegia ha svolto un altro torneo con 7 vittorie su 7, 33 gol segnati, di cui 11 proprio alla piccola Moldavia contro la quale l’Italia per pochissimo ha rischiato di chiudere con uno squallido 0-0. Ma non dite a “Ringhio-Landini” che è stata una brutta Nazionale perché per difendere la sua classe operaia in tuta blu lui risponde seccato: «Ho visto un’Italia che ha giocato, siamo stati là e loro non hanno mai tirato in porta. Sono molto soddisfatto, abbiamo fatto quello che dovevamo e dato minutaggio a dei ragazzi». Il minutaggio ai ragazzi significa aver compiuto una metamorfosi gattusiana dando spazio a quegli azzurri che finora avevano giocato di meno. Esperimenti che si possono fare solo quando il risultato è l’ultimo dei pensieri. Ora però, alla vigilia di quello che doveva essere il big-match decisivo del torneo, quello contro la Norvegia, viene da chiedersi: ma anche ci qualificassimo per i Mondiali, questa Nazionale che prospettive avrebbe? Ogni partita è storia a sé, d’accordo, la palla è rotonda e «partita finisce quando arbitro fischia», suggerisce dall’Alto il maestro Vujadin Boskov, ma allo stato dell’arte anche questa giovine Italia, che poi tanto giovane non è quando si affida agli Orsolini, agli Zaccagni e i Cristante e i Mancini che viaggiano tutti sulla trentina, dove potrà arrivare? Certo una terza defezione mondiale farebbe rivoltare nella tomba anche gli azzurri campioni del mondo dell’Italia di Vittorio Pozzo. Però qua, di segnali incoraggianti in prospettiva se ne vedono assai pochi. Kean non è lo stesso della passata stagione sotto la cura Palladino, che poteva tornare alla Fiorentina ma giustamente ha preferito sperimentare il laboratorio permanente di Zingonia, la base dell’Atalanta. Da lì, la passata stagione aveva scalato fino alla cima della classifica dei cannonieri l’oriundo Retegui, ora sceicchino all’Al-Qadsiah lega saudita, 8 gol in 5 partite, ma quello è un campionato che Don Fabio Capello definirebbe “l’ultimo dei performanti”. E infatti la vena realizzativa si sta un po’ uniformando al clima del deserto. Scamacca da quando è rientrato dall’infortunio sembra la brutta copia del bomberone palizzato del Napoli Lorenzo Lucca, 10 presenze con la squadra di Antonio Conte e 1 solo gol. A proposito, nella penuria generale non venga in mente a Ringhio di convocare anche Lucca per un eventuale Mondiale americano. Siamo messi benino da Donnarumma fino al centrocampo, anche se l’infaticabile Dimarco e i due fosforosi Tonali e Barella non possono sempre farsi in quattro per limitare i danni. Inutile girarci attorno, davanti ci manca un Erling Haaland che con la doppietta all’Estonia (gara vinta dalla Norvegia 4-1) è già a quota 30 gol stagionali, di cui 14 segnati nel girone di qualificazione ai Mondiali. I norvegesi fanno quasi 5 gol a partita e non segna solo lui, il gigante del City, ma delle belle cinquine portano la firma anche di Thelo Aasgaard, Alexander Sørloth e dicono sempre la loro anche Ajer, Donnum, Myhre, Wolfe e gli interessantissimi Nusa, Odegaard. Un team meraviglioso quello del ct Ståle Solbakken. Potremmo dire che siamo stati sfortunati. Che abbiamo incontrato la migliore Norvegia dai tempi di Umberto Nobile, che questi scandinavi erano congelati dal Mondiale francese del 1998 (ultima presenza) e quindi avevano la stessa fame con cui Haaland alla fine dell’incontro con gli estoni si è precipitato a comprare hamburger per sé e per tutta la squadra. Possiamo ragionare all’infinito ma la classifica non cambia, condannati al secondo posto. E anche se questa sera a San Siro l’Italia ringhiasse forte fino a far sparire la Norvegia, comunque in classifica non la schioderemmo dal primato se non a una sola condizione: vittoria con 9 gol di scarto. La prova del nove già dice ci tocca andare sindacalmente agli spareggi di marzo, sperando di sfangarla in una primavera che non sia ancora maledetta. E magari il ritorno delle rondini non faccia sentire ancora a Gattuso i soliti 500 sfaccendati urlare ai loro presunti beniamini, «a lavorare, andate a lavorare».
© RIPRODUZIONE RISERVATA






