Addio Galeone, ultimo "Profeta" del calcio di poesia

Allegri e Gasperini gli allievi migliori della sua scuola
November 4, 2025
Addio Galeone, ultimo "Profeta" del calcio di poesia
Giovanni Galeone (1941-2025) assieme al suo figlioccio Max Allegri, allenatore del Milan alla premiazione di "Milano Calcio City"
Ironia della sorte, Giovanni Galeone se ne è andato proprio il giorno in cui venne assassinato il Poeta di Casarsa, il 2 novembre. A 84 anni ci saluta per sempre il "Profeta" dell'Adriatico, il più pasoliniano degli allenatori che ebbe modo di confrontarsi con Pier Paolo Pasolini anche su un campo di calcio, assieme agli amici di sempre Edy Reja e Fabio Capello. Un filosofo del calcio Galeone: napoletano per nascita e fantasia, ma cresciuto, anche calcisticamente, a Udine e anche per questo affine per furlanità e per devozione al “calcio di poesia” di Pasolini. Ma per i materialisti cronici e i critici del calcio postmoderno che affidano tutto alle glaciali statistiche del possesso palla o all’algoritmo per le scelte di mercato, appartiene alla categoria dei mister naif che in carriera non hanno vinto mai. Un girone farsesco in cui, secondo questi cattivi pensatori, è stato in buona compagnia di colleghi come Zdenek Zeman, con il quale condivideva lo spirito anarchico dell’irregolare e anche il titolo di leggenda dell’Adriatico. Prima del Pescara del terzo millennio, quello del trio zemaniano Verratti-Immobile-Insigne, negli anni ’80 c’era stato il gruppo sopraffino di Galeone che con una pattuglia di 14 giocatori ripescati dalla Serie C portò gli abruzzesi per la seconda volta nella loro storia in Serie A, stagione 1986-‘87. Una gioia immensa, pari solo all’estasi che Galeone provava leggendo l’amato Camus sulla spiaggia dannunziana di Francavilla, dove aveva mantenuto la casa in affitto per anni, o contemplando il dribbling secco con finta alla Garrincha, a saltare sistematicamente l'uomo, del suo Rocco Pagano. «Pagano era uno che i difensori li mandava al manicomio», ricordava il "Profeta" citando quello che per un difensore mondiale come Paolo Maldini è stata la vera “bestia nera”. Rocco e i suoi fratelli pescaresi sono stati i figli che Galeone non ha avuto dalla Checca, la moglie e la donna di una vita. E il suo figlio prediletto non è un mistero che fosse Max Allegri. Esaltato come il modello di tecnica ed estetica applicato alla sua filosofia offensiva in cui «il tridente è l’opportunità che apre sempre nuovi orizzonti». Il Max figliol prodigo, giocatore di cavalli e sciupafemmine, protetto e difeso sempre ad oltranza, da tutto e tutti, compresi i parenti inviperiti della sposa che lasciò da sola all’altare 24 ore prima del matrimonio chiedendo ovviamente rifugio al suo Profeta. Con Galeone, Allegri ha compreso il fascino discreto del mestiere di allenatore. L’allievo ha superato il Maestro è vero, forte dei cinque scudetti di fila con la Juventus e uno con il Milan, ma tutto ciò che sa sul calcio il conte Max lo ha appreso dal Gale. I suoi sette anni in Tibet sono state le lezioni del Profeta da calciatore, e la la laurea l’ha conseguita, prima che a Coverciano, nella stagione da vice di Galeone all’Udinese. Ma il romantico Giovanni, rispetto al suo pupillo d’oro, è mancata l’occasione di guidare la grande squadra, anche se la storia di cuoio racconta di un Massimo Moratti perdutamente innamorato delle alchimie del Profeta ed era pronto a portarlo all’Inter. Occasione sfumata, ma nessun rimpianto, perché il senso del calcio, come della vita, per Galeone era nell’estasi e il tormento del bel gesto. Un giorno al Perugia, sono stato testimone diretto, di un allenamento chiuso dopo 5 minuti di partitella per un tiro magico di Allegri sotto il set. Galeone fischia tre volte e con il sorriso dei padri felici grida alla squadra: «Stop ragazzi, per oggi ho visto tutto, andiamo a fare la doccia». Molti i discepoli della sua scuola involontaria che sono diventati dei fini accademici della domenica. «Gasperini, Giampaolo, Camplone, Di Cara, Calori, Bergodi, Gautieri, Giunti… E forse me ne dimentico qualcuno», disse orgoglioso l’ultima volta che ci siamo parlati al ristorante Vecchio Porco di Milano, ospiti alla tavola di Gianni Mura che con Galeone condividevano la passione e la competenza per i grandi vini. «Per me il re dei vini resta sempre il Sassicaia. Ma quando non ho avuto lo champagne mi sono fatto bastare anche il prosecco», disse brindando con un buon calice di Cannonau portato dall’amico oste Gerry Mele. In vino veritas, chiamato a sindacare sull’operato degli illustri colleghi quella stessa sera sconfessò l’Arrigo da Fusignano: «Voglio ricordare che al Parma Sacchi difendeva il settimo posto in serie B e che il 4-3-3 non l’hanno inventato né lui né Zeman... Catuzzi e il sottoscritto quel modulo lo praticavamo molto prima di loro. Così come è ora di finirla con la barzelletta che Antonio Conte ha ideato la “difesa a tre” della Juventus e che Allegri l’ha semplicemente “copiata”. Max fa giocare le squadre a seconda delle partite e degli uomini che ha disposizione, con risultati anche migliori». Sentenze inappellabili quelle del Gale. Eliogabalo del pallone che non amava comandare né essere comandato. Perciò nella stagione fantastica, 1995-’96, quella della promozione in rimonta con il Perugia di Luciano Gaucci quando il patron gli chiese di sorvegliare Allegri e compagni durante le loro notti brave gli rispose da par suo: «Presidente, io faccio l’allenatore mica il guardiano di mucche». Rabdomante di piedi educati e allergico al difensore rude da palla o gamba. Per questo al Perugia bocciò il futuro campione del mondo Marco Materazzi convincendo Gaucci a spedirlo in prestito al Carpi, in C (dove tra rigori e punizioni mise a segno 7 gol in 18 partite). Ma sempre a Perugia fece debuttare in B un altro futuro campione del mondo, il 18enne Rino Gattuso. Non era il giocatore ideale, perché quello, oltre ad Allegri, doveva dare del tu al pallone, come il brasiliano Leo Junior che però a Pescara vedendo giocare l’altro pallino di Galeone, Blaž Slišković disse incantato: «Se avessi i piedi di Blaž sarei un miliardario».
Su Galeone, di aneddoti, compresi cani, come l’husky Ziegler, fatti entrare negli spogliatoi assieme alla squadra e storie di ordinaria follia sempre risolte con stile filosofale, ne avrei ancora molte, ma quando domenica è arrivata la notizia della sua morte la prima cosa che ho fatto è stato prendere un caro vecchio libro in mano e rileggere quella poesia del Tessa: «L'è el dì di Mort, Alegher!». Galeone non aveva mai letto Prevert perché era troppo triste rispetto al suo humor da uomo melanconico. Perciò vorrei che fosse ricordato oltre che per essere stato un grande uomo di calcio, anche come un maestro raro di vita. In primis di Max Allegri che al Milan ora sta sperimentando una delle tante intuizioni del “Profeta dell’Adriatico”: nella desinenza “ic” del cognome dei calciatori slavi come Sliskovic, «i brasiliani d’Europa», secondo il “Gale”, risiederebbe il segno intangibile del talento puro. Perciò, con il sublime Modric, l’energico Pavlovic che ha castigato la Roma dell’altro galeoniano, Gasperini, e il dalmata americano Pulisic (miglior marcatore rossonero con 4 reti), Allegri può stare "alegher". Se poi Nkunku si ricordasse di essere stato un buon attaccante come ai tempi di Lipsia e Leao oltre a fare lo scattista di fascia avesse dei lampi di concretezza, allora il Milan potrebbe addirittura volare.
Al momento rossoneri secondi dietro al Napoli capolista che ringrazia ancora le manone del portiere Milinkovic-Savic (anche lui ha la desinenza “ic”) per aver parato il rigore di Morata: se avesse segnato avrebbe spedito in paradiso il Como dell’hidalgo Fabregas. “Chivu-oleorecchio” e non solo, l’Inter a Verona al 90’ passa grazie a un autogol e aggancia Roma e Milan, ma la squadra di Chivu ha ancora margini di miglioramento. Migliora la Juventus, due vittorie di fila dopo la cacciata di Tudor. Per Luciano Spalletti dopo la prima a Cremona solo sviolinate, per la vittoria e per il ripescaggio dell’ex emarginato Kostic. “Vittoria a tutti i Kostic” (ancora complimenti al titolista di “Repubblica”) è comunque una bella storia, mentre è da favola la prima doppietta in Serie A di Stefano Moreo che ha regalato il quarto pari prezioso e di fila al Pisa di Gilardino. Classe 1993, Moreo ha passato tutta la vita nei campi di C e B prima di concedersi una giornata di gloria allo Stadio del Grande Torino, dove di grande al momento si vede solo la caparbietà del bomber granata, il “Cholito” Giovanni Simeone (4 gol realizzati). È un bomber spento invece Moise Kean che vede la sua Fiorentina andare a picco. Via il ds Pradè, alla decima salta anche la panchina di Stefano Pioli: la minestra riscaldata aveva reso la Fiorentina una “ri-bollita”. La patata bollente viola ora passa al subentrante che dovrà convincere Kean e compagni a metterci l’anima per evitare la retrocessione. Fantacalcio? Kean sveglia, la Fiorentina della stagione 1992-’93 aveva Gabriel Batistuta eppure scese in B. Teme la mal parata anche il Genoa che esonera Patrick Vieira al quale vanno i saluti avvelenati del suo escluso speciale, Mario Balotelli: «Dio vede e provvede. Il Grifone torna tra le mani di chi lo ama, egoista». Nel giorno dell’addio al Profeta dell’Adriatico scopriamo che anche Balotelli ha un futuro da predicatore, solitario».
Ironia della sorte, Giovanni Galeone se ne è andato proprio il giorno in cui venne assassinato il Poeta di Casarsa, il 2 novembre. A 84 anni ci saluta per sempre il "Profeta" dell'Adriatico, il più pasoliniano degli allenatori che ebbe modo di confrontarsi con Pier Paolo Pasolini anche su un campo di calcio, assieme agli amici di sempre Edy Reja e Fabio Capello. Un filosofo del calcio Galeone: napoletano per nascita e fantasia, ma cresciuto, anche calcisticamente, a Udine e anche per questo affine per furlanità e per devozione al “calcio di poesia” di Pasolini. Ma per i materialisti cronici e i critici del calcio postmoderno che affidano tutto alle glaciali statistiche del possesso palla o all’algoritmo per le scelte di mercato, appartiene alla categoria dei mister naif che in carriera non hanno vinto mai. Un girone farsesco in cui, secondo questi cattivi pensatori, è stato in buona compagnia di colleghi come Zdenek Zeman, con il quale condivideva lo spirito anarchico dell’irregolare e anche il titolo di leggenda dell’Adriatico. Prima del Pescara del terzo millennio, quello del trio zemaniano Verratti-Immobile-Insigne, negli anni ’80 c’era stato il gruppo sopraffino di Galeone che con una pattuglia di 14 giocatori ripescati dalla Serie C portò gli abruzzesi per la seconda volta nella loro storia in Serie A, stagione 1986-‘87. Una gioia immensa, pari solo all’estasi che Galeone provava leggendo l’amato Camus sulla spiaggia dannunziana di Francavilla, dove aveva mantenuto la casa in affitto per anni, o contemplando il dribbling secco con finta alla Garrincha, a saltare sistematicamente l'uomo, del suo Rocco Pagano. «Pagano era uno che i difensori li mandava al manicomio», ricordava il "Profeta" citando quello che per un difensore mondiale come Paolo Maldini è stata la vera “bestia nera”. Rocco e i suoi fratelli pescaresi sono stati i figli che Galeone non ha avuto dalla Checca, la moglie e la donna di una vita. E il suo figlio prediletto non è un mistero che fosse Max Allegri. Esaltato come il modello di tecnica ed estetica applicato alla sua filosofia offensiva in cui «il tridente è l’opportunità che apre sempre nuovi orizzonti». Il Max figliol prodigo, giocatore di cavalli e sciupafemmine, protetto e difeso sempre ad oltranza, da tutto e tutti, compresi i parenti inviperiti della sposa che lasciò da sola all’altare 24 ore prima del matrimonio chiedendo ovviamente rifugio al suo Profeta. Con Galeone, Allegri ha compreso il fascino discreto del mestiere di allenatore. L’allievo ha superato il Maestro è vero, forte dei cinque scudetti di fila con la Juventus e uno con il Milan, ma tutto ciò che sa sul calcio il conte Max lo ha appreso dal Gale. I suoi sette anni in Tibet sono state le lezioni del Profeta da calciatore, e la la laurea l’ha conseguita, prima che a Coverciano, nella stagione da vice di Galeone all’Udinese. Ma il romantico Giovanni, rispetto al suo pupillo d’oro, è mancata l’occasione di guidare la grande squadra, anche se la storia di cuoio racconta di un Massimo Moratti perdutamente innamorato delle alchimie del Profeta ed era pronto a portarlo all’Inter. Occasione sfumata, ma nessun rimpianto, perché il senso del calcio, come della vita, per Galeone era nell’estasi e il tormento del bel gesto. Un giorno al Perugia, sono stato testimone diretto, di un allenamento chiuso dopo 5 minuti di partitella per un tiro magico di Allegri sotto il set. Galeone fischia tre volte e con il sorriso dei padri felici grida alla squadra: «Stop ragazzi, per oggi ho visto tutto, andiamo a fare la doccia». Molti i discepoli della sua scuola involontaria che sono diventati dei fini accademici della domenica. «Gasperini, Giampaolo, Camplone, Di Cara, Calori, Bergodi, Gautieri, Giunti… E forse me ne dimentico qualcuno», disse orgoglioso l’ultima volta che ci siamo parlati al ristorante Vecchio Porco di Milano, ospiti alla tavola di Gianni Mura che con Galeone condividevano la passione e la competenza per i grandi vini. «Per me il re dei vini resta sempre il Sassicaia. Ma quando non ho avuto lo champagne mi sono fatto bastare anche il prosecco», disse brindando con un buon calice di Cannonau portato dall’amico oste Gerry Mele. In vino veritas, chiamato a sindacare sull’operato degli illustri colleghi quella stessa sera sconfessò l’Arrigo da Fusignano: «Voglio ricordare che al Parma Sacchi difendeva il settimo posto in serie B e che il 4-3-3 non l’hanno inventato né lui né Zeman... Catuzzi e il sottoscritto quel modulo lo praticavamo molto prima di loro. Così come è ora di finirla con la barzelletta che Antonio Conte ha ideato la “difesa a tre” della Juventus e che Allegri l’ha semplicemente “copiata”. Max fa giocare le squadre a seconda delle partite e degli uomini che ha disposizione, con risultati anche migliori». Sentenze inappellabili quelle del Gale. Eliogabalo del pallone che non amava comandare né essere comandato. Perciò nella stagione fantastica, 1995-’96, quella della promozione in rimonta con il Perugia di Luciano Gaucci quando il patron gli chiese di sorvegliare Allegri e compagni durante le loro notti brave gli rispose da par suo: «Presidente, io faccio l’allenatore mica il guardiano di mucche». Rabdomante di piedi educati e allergico al difensore rude da palla o gamba. Per questo al Perugia bocciò il futuro campione del mondo Marco Materazzi convincendo Gaucci a spedirlo in prestito al Carpi, in C (dove tra rigori e punizioni mise a segno 7 gol in 18 partite). Ma sempre a Perugia fece debuttare in B un altro futuro campione del mondo, il 18enne Rino Gattuso. Non era il giocatore ideale, perché quello, oltre ad Allegri, doveva dare del tu al pallone, come il brasiliano Leo Junior che però a Pescara vedendo giocare l’altro pallino di Galeone, Blaž Slišković disse incantato: «Se avessi i piedi di Blaž sarei un miliardario».
Su Galeone, di aneddoti, compresi cani, come l’husky Ziegler, fatti entrare negli spogliatoi assieme alla squadra e storie di ordinaria follia sempre risolte con stile filosofale, ne avrei ancora molte, ma quando domenica è arrivata la notizia della sua morte la prima cosa che ho fatto è stato prendere un caro vecchio libro in mano e rileggere quella poesia del Tessa: «L'è el dì di Mort, Alegher!». Galeone non aveva mai letto Prevert perché era troppo triste rispetto al suo humor da uomo melanconico. Perciò vorrei che fosse ricordato oltre che per essere stato un grande uomo di calcio, anche come un maestro raro di vita. In primis di Max Allegri che al Milan ora sta sperimentando una delle tante intuizioni del “Profeta dell’Adriatico”: nella desinenza “ic” del cognome dei calciatori slavi come Sliskovic, «i brasiliani d’Europa», secondo il “Gale”, risiederebbe il segno intangibile del talento puro. Perciò, con il sublime Modric, l’energico Pavlovic che ha castigato la Roma dell’altro galeoniano, Gasperini, e il dalmata americano Pulisic (miglior marcatore rossonero con 4 reti), Allegri può stare allegher. Se poi Nkunku si ricordasse di essere stato un buon attaccante come ai tempi di Lipsia e Leao oltre a fare lo scattista di fascia avesse dei lampi di concretezza, allora il Milan potrebbe addirittura volare.Al momento rossoneri secondi dietro al Napoli capolista che ringrazia ancora le manone del portiere Milinkovic-Savic (anche lui ha la desinenza “ic”) per aver parato il rigore di Morata: se avesse segnato avrebbe spedito in paradiso il Como dell’hidalgo Fabregas. “Chivu-oleorecchio” e non solo, l’Inter a Verona al 90’ passa grazie a un autogol e aggancia Roma e Milan, ma la squadra di Chivu ha ancora margini di miglioramento. Migliora la Juventus, due vittorie di fila dopo la cacciata di Tudor. Per Luciano Spalletti dopo la prima a Cremona solo sviolinate, per la vittoria e per il ripescaggio dell’ex emarginato Kostic. “Vittoria a tutti i Kostic” (ancora complimenti al titolista di “Repubblica”) è comunque una bella storia, mentre è da favola la prima doppietta in Serie A di Stefano Moreo che ha regalato il quarto pari prezioso e di fila al Pisa di Gilardino. Classe 1993, Moreo ha passato tutta la vita nei campi di C e B prima di concedersi una giornata di gloria allo Stadio del Grande Torino, dove di grande al momento si vede solo la caparbietà del bomber granata, il “Cholito” Giovanni Simeone (4 gol realizzati). È un bomber spento invece Moise Kean che vede la sua Fiorentina andare a picco, ultima in classifica con 4 punti. Via il ds Pradè, alla decima salta anche la panchina di Stefano Pioli: la minestra riscaldata aveva reso la Fiorentina una “ri-bollita”. La patata bollente viola ora passa al subentrante che dovrà convincere Kean e compagni a metterci l’anima per evitare la retrocessione. Fantacalcio? Kean sveglia, la Fiorentina della stagione 1992-’93 aveva Gabriel Batistuta eppure scese in B. Teme la mal parata anche il Genoa che esonera Patrick Vieira (e vince a Sassuolo), al quale vanno i saluti avvelenati del suo escluso speciale, Mario Balotelli: «Dio vede e provvede. Il Grifone torna tra le mani di chi lo ama, egoista». Nel giorno dell’addio al Profeta dell’Adriatico scopriamo che anche Balotelli ha un futuro da predicatore, solitario».

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