Un esame di coscienza digitale. Per essere più liberi e responsabili
venerdì 22 settembre 2017
Alla fine, cadiamo sempre lì: ci aspettiamo che una macchina, un «algoritmo» o un «tool» (cioè uno strumento) risolvano i nostri problemi digitali. Non solo. Tutto deve avvenire a patto che ci costi poca fatica e senza alcun esborso.
Vogliamo «ambienti digitali» puliti, ma non vogliamo faticare perché lo siano. E mentre aspettiamo che tutto si risolva quasi magicamente, ci ripetiamo: i giganti del web devono fare qualcosa.
Ovviamente la responsabilità di Google, Facebook e degli altri colossi digitali nel contrastare la «spazzatura web» è grande, grandissima. E servono regole nuove e impegni veri. È di queste ore la scoperta che l'algoritmo di Amazon "suggerisce" come usare alcuni prodotti in vendita sul negozio web più grande del mondo per fabbricare una bomba. Hanno promesso di cambiarlo, ma la preoccupazione resta.
L'annuncio appena fatto che i giganti digitali si impegneranno «a cancellare entro due ore dalla sua pubblicazione su web o social qualunque contenuto che inneggi al terrorismo», non può che fare piacere. È un obiettivo tutt'altro che facile. Se vi sembra poco, sappiate che per riuscirci servono sforzi – economici, tecnologici e umani – enormi. Ed è solo l'inizio. La punta dell'iceberg.
Tanto più che se su Google si digitano i termini «come fabbricare una bomba» si approda facilmente in chat dove appaiono dettagliate istruzioni per costruire ordigni artigianali.
Senza arrivare a tanto, ognuno di noi sa bene quanta già sia dannosa quella zona «grigia» del digitale che incontriamo quotidianamente fatta di insulti, odio, razzismo, allarmi infondati, notizie false e violenza. Un mare di spazzatura che nessun algoritmo (che in informatica è un'insieme di istruzioni che deve essere applicato per eseguire un'elaborazione o risolvere un problema) potrà mai pulire completamente.
Inutile girarci attorno. Per fare qualcosa di davvero significativo, dobbiamo ribaltare la prospettiva. Passare dal «qualcuno deve fare qualcosa» a «cosa posso fare io per migliorare l'ambiente digitale»? Metterlo in pratica è indubbiamente faticoso, ma non è impossibile. Basterebbe iniziare da una cosa minima. Basterebbe che, ognuno di noi, prima di postare qualunque cosa su un social, prima di commentare, mettere un "mi piace", fare un retweet o creare una conversazione digitale, si chiedesse: «Sto facendo una cosa utile, che migliora l'eco-sistema digitale, o sto solo creando altro "rumore di fondo", altra confusione, altro odio, altro "nulla"»?
Bruno Mastroianni ha scritto un prezioso volume, La disputa felice, per insegnarci a «dissentire senza litigare sui social network, sui media e in pubblico». Tutti dovrebbero leggerlo. E applicarne i saggi consigli che contiene. Ma qui siamo al passo precedente. Al prenderci almeno delle minime responsabilità. Impariamo a farci un «esame di coscienza digitale» per analizzare i nostri comportamenti su web e social. Vale per tutti anche per chi non crede. In fondo, anche prima del cristianesimo, lo facevano pure gli adepti delle scuole filosofiche ellenistico-romane «per rendersi conto quotidianamente della misura in cui si erano adempiuti o meno i propri doveri».
Pensate a che rivoluzione sarebbe se ognuno di noi – nessuno escluso – analizzasse ogni giorno anche la qualità dei suoi comportamenti su web e social.
Il digitale, infatti, non è un'altra vita o un altro mondo. Il digitale siamo noi: qui e ora. Un «ambiente» che rivela più di altri chi siamo e come sono le persone che incontriamo ogni giorno in Rete.
Social e web, ormai, non sono più una novità. Quindi, non abbiamo più alibi. Dobbiamo crescere. Tutti. Imparare a essere più responsabili anche delle nostre azioni digitali.
Sperare che una macchina, un algoritmo o un «tool» decidano per noi cosa è giusto e cosa è sbagliato può essere molto comodo, ma è pericolosissimo. Ci riduce al ruolo di pedine, di bambini, di sudditi.
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