Se per tornare sui banchi si sfratta lo sport di tutti
mercoledì 1 luglio 2020
Le ipotesi sulle modalità di riapertura delle scuole per il prossimo anno scolastico stanno ormai diventando leggendarie. Passando dai contenitori in plexiglas porta-studenti al software per calcolare i metri quadrati degli spazi a disposizione (immagino sia un geniale upgrade delle formule per calcolare l'area delle figure geometriche!) fino alle lezioni in aula a rotazione le abbiamo, per ora, sentite tutte. Anzi ne abbiamo sentite così tante che sarebbe stato meglio comunicare di meno e aspettare di avere qualcosa di più definitivo da dire. Ma tant'è. Ormai ci siamo assuefatti a un mondo dove per sopravvivere occorre essere sempre i primi a parlare e, possibilmente, a spararla più grossa. In questo oceano di incertezze resta una sola certezza, quella che le scuole dovranno rivedere, reinterpretare, reinventare gli spazi a propria disposizione per ottemperare alle misure di sicurezza, in un momento dell'anno, l'inizio dell'autunno, sul quale aleggia un terrore ben alimentato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità a dal suo direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus che un paio di giorni fa profetizzava: «Il peggio deve ancora arrivare».
Ora, premessa questa certa necessità di reinterpretazione degli spazi, c'è una conclusione altrettanto certa: le palestre scolastiche smetteranno di essere palestre. O, meglio: grazie al software evocato dalla Ministra Azzolina prima scopriremo lo stato dell'arte dell'edilizia scolastica rispetto ai luoghi dedicati alla cultura del movimento e alla pratica sportiva. Basterà un click, immagino, per verificare quante scuole hanno una palestra, quante hanno uno scantinato o un sottoscala che chiamano palestra, quante hanno un cortile dove ogni tanto mandano gli studenti a giocare a calcetto, quante invece non hanno un solo centimetro quadrato dedicato e pensato per fare attività fisica. Questo censimento degli spazi potrà essere già oggetto di interessanti analisi che però sarebbero solo una cruda fotografia delle sciagurate scelte del passato, quelle che hanno imposto la decisione che la disciplina di insegnamento della pratica sportiva non avesse la stessa dignità delle altre discipline insegnate a scuola. Se non ci siamo arrivati per vie intellettuali ci arriveremo per vie geometriche, diciamo così, confrontando con il software le aree con le loro destinazioni d'uso. Tuttavia questa tridimensionale presa di coscienza non impedirà una cosa ancora peggiore: ovvero che quelle aree, laddove esistono, pensate per insegnare la cultura del movimento, verranno sottratte al loro scopo. E attenzione: verranno sottratte al loro scopo tanto agli studenti quanto a tutto quell'universo di società sportive che utilizzano le palestre scolastiche nelle fasce pomeridiane e serali per svolgere le loro attività. Dimenticativi, per un attimo, il campionato di serie A di calcio, gli stadi, i grandi impianti o palazzetti dello sport. In quei luoghi si svolge forse il 5% dell'attività sportiva del nostro Paese, ma il restante 95% è un gigantesco tetris, un gioco di incastri di associazioni che combattano per avere, magari per un paio di ore alla settimana, un luogo dove svolgere le proprie attività promozionali, amatoriali, di avviamento alla pratica sportiva. E questo 95%, la parte sommersa dell'iceberg, vive (o dobbiamo dire viveva?) nelle palestre scolastiche. In sostanza, a settembre, andrà in scena il più gigantesco sfratto collettivo della storia dello sport italiano. La sola idea è terrorizzante: migliaia di associazioni che hanno tenuto in piedi lo sport in questo Paese saranno letteralmente falcidiate. A questa apocalittica atmosfera alla “si salvi chi può”, aggiungo una riflessione costruttiva per gli amministratori delle nostre città e dei nostri comuni: ridisegnate, ma sul serio, gli spazi pubblici (parchi cittadini, colline, montagne, laghi, fiumi, spiagge, mare) e metteteli nelle condizioni di poter essere usati da questi nuovi homeless dello sport. Sperando che non piova.
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