Se le notizie che si pubblicano mostrano solo la disperazione
mercoledì 1 marzo 2017
A proposito della morte di Fabiano Antoniani – Dj Fabo, nel grande flusso di opinioni che ha investito nelle scorse ore anche la Rete che frequento mi ha colpito una parola che Paolo Benanti ha rivolto a Francesco Occhetta in uno scambio di lettere tempestivamente pubblicato sul sito dell'Ucsi ( tinyurl.com/zgxu47c ).
Essa infatti esce dal caso specifico per porre in termini di urgenza una drammatica questione a proposito dei media e dello stile impostato per comunicare questa notizia, della loro «prospettiva di fondo». Benanti l'identifica in uno sguardo sulla vita che, dipingendo la morte come una speranza e il non morire come una disperazione (Kierkegaard), «dice che l'unica cosa da cercare, celebrare e cercare è l'angoscia e il non senso che appartiene al nostro essere. Allora le notizie, ciò che merita essere sulle pagine dei nostri giornali non saranno altro che prove e dimostrazioni del nulla, del non senso e della disperazione». Occhetta concorda: «Il punto per me è come il giornalismo, che respira della cultura che lo nutre, tratta la volontà di morire come il fine possibile della vita».
Credo che ognuno di noi (non solo chi comunica per professione, intendo) dovrebbe tener conto di questo rischio ogni volta che fa la sua piccola, personale rassegna stampa – qualche post scorso su Facebook, il tg adocchiato al bar o il gr orecchiato in auto, l'home page del quotidiano preferito e la pagina sei di quello sbirciato dal vicino in autobus –. In modo da non assuefarsi ma, al contrario, da nutrire, anche con le sue scelte e i suoi comportamenti, l'aspirazione con la quale fra Benanti, mettendo in campo la sua sensibilità di francescano, conclude la lettera a padre Occhetta: che nel racconto dei media «le tristezze e i fatti della vita possano essere in realtà una testimonianza e una celebrazione dell'umano», che vi «emerga quella necessaria ricerca di senso che ci caratterizza e che ci urge», che si dicano «la nostra fragilità, il male del mondo senza scordare che la vita è Laude».
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