Rafa e il Presidente: forti quando è difficile
mercoledì 2 febbraio 2022
Che cosa hanno in comune le parole pronunciate dal presidente Sergio Mattarella al momento della sua rielezione e la straordinaria vittoria di Rafael Nadal agli Australian Open? Come da tempo avete intuito in questa rubrica si cammina sul confine di mondi apparentemente lontani, tentando di scoprire che tipo di legame lo sport possa avere con altre forme di cultura e, in generale, con il resto della nostra società. Dunque, cosa tiene insieme l'immensa forza e generosità di un politico ottantenne chiamato a prolungare di sette anni il suo ruolo di Capo dello Stato e l'impresa agonistica di uno sportivo, dalla parte opposta del mondo? Un indizio arriva da un bellissimo titolo con cui il quotidiano sportivo spagnolo “Marca” ha celebrato la vittoria del tennista di casa: «Nadal contra el desánimo de esta época». Non serve traduzione se non per quel desánimo che potremmo tradurre con “scoraggiamento”, insomma quel mancare delle forze, quella rassegnazione, quello sconforto che talvolta ci impedisce di reagire di fronte alle difficoltà di un contesto, qualsiasi esso sia.
«Le condizioni di emergenza sanitaria, economica e sociale – ha detto il presidente Mattarella – impongono di non sottrarsi ai doveri cui si è chiamati e naturalmente devono prevalere su altre considerazioni e su prospettive personali differenti». Rafael Nadal deve aver pensato più o meno la stessa cosa, al netto di tragiche emergenze, quando sotto di due set, 2 a 3 e 0-40 sul proprio servizio, cinque mesi dopo un intervento al piede che sembrava segnare serenamente e inesorabilmente, a trentasei anni, la fine della sua grande carriera. In quel momento ha deciso di trasformarsi in una specie di eroe omerico, allungare la partita di tre ore, vincere 7-5 al quinto set e diventare il primo tennista uomo (Margaret Court, Serena Williams e Steffi Graf ci sono già riuscite) a vincere 21 tornei del Grande Slam.
Rafael Nadal e il nostro presidente Sergio Mattarella (conoscendo la sua passione per lo sport sono ragionevolmente certo che non considererà questa riflessione una diminutio) sono due campioni assoluti che ci insegnano in contesti così diversi, a età così diverse che ci sono momenti nel corso delle nostre vite di fronte ai quali non possiamo sottrarci ai nostri doveri e fare tutto quello che è possibile fare, nell'ambito delle nostre forze, per adempiere a un compito più importante di noi come singoli individui e al quale abbiamo il dovere di offrire tutto il nostro talento, le nostre energie, il nostro cuore, la nostra passione, la nostra competenza. Questi due campioni incarnano un'ispirazione molto concreta e molto vicina a noi che pure non siamo chiamati a diventare Presidenti della Repubblica o tennisti in grado di vincere un torneo del Grande Slam: essere forti quando è difficile.
Ecco il loro messaggio: bisogna essere forti proprio quando i pronostici sono chiusi, quando vorremmo (e avremmo anche delle ragioni per farlo) smettere, fermarci, lasciare. Perché, al contrario, di persone forti quando è facile sono pieni i Parlamenti e i palazzetti di ogni disciplina sportiva. Ma non hanno granché da insegnarci.
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