Quelle tante dirette video (quasi) senza pubblico
venerdì 25 settembre 2020
Ormai l'abbiamo capito tutti: le dirette video su Facebook e YouTube (e su piattaforme come Zoom, Teams, Google Meet eccetera) sono comode e utili. Ma, come spesso accade con le cose utili e comode (e anche un po' alla moda), qualcosa rischia di scapparci di mano.
È facilissimo crearne una. Basta un cellulare o un pc con una webcam e possiamo andare in diretta col mondo. Quello che troppo spesso dimentichiamo è che «il mondo» al quale parliamo è il più delle volte solo «il nostro mondo», cioè uno spazio molto piccolo. E che non basta decidere di fare un incontro o un dibattito digitale per avere automaticamente una platea che lo segua. Prima del lockdown (e dell'esplosione delle dirette digitali) la maggior parte degli incontri e dei seminari si teneva quasi esclusivamente di persona. E spesso vi partecipavano poche persone. Solo gli organizzatori e i relatori di solito facevano caso al numero dei presenti. Chi stava in platea, anche se lo notava, alla fine dell'esperienza, tornava a casa pensando soprattutto a se era rimasto o meno soddisfatto da quanto ascoltato e visto.
Nel digitale invece il dato di quanti spettatori stanno seguendo una diretta e di quanti la guardano poi in differita non solo è visibile a tutti e in tempo reale ma è molto più importante di quello che crediamo. E per diversi fattori. Il primo è che un alto numero di spettatori ne spinge altri a guardare. Di contro quando vediamo scorrere sui social una diretta dove gli spettatori sono meno dei partecipanti al dibattito in video (cosa che succede spesso), scappiamo dopo poco a gambe levate. Non solo. Nella nostra mente un numero basso di visualizzazioni imprime un ricordo negativo. Per la serie: questo tema, queste persone, questa associazione, questo gruppo, questa realtà non è così importante come credevo.
È uno dei tanti errori che stiamo facendo nel digitale: costruiamo dibattiti, webinar e dirette come se tutto fosse come un tempo. Come se una biblioteca o una sala parrocchiale fossero uguali a uno schermo digitale. Come se uno o quattro esperti (più o meno famosi) bastassero alla riuscita dell'evento.
No, non bastano più. Ormai le dirette sono troppe (e troppe fatte nel modo sbagliato). E avendo ormai perso l'«effetto novità» per sopravvivere hanno bisogno di ancora più cura degli incontri in presenza. Va pensato attentamente il titolo, l'orario, il numero degli ospiti (ci sono incontri su zoom con 12 relatori che mentre intervengono gli altri si vede lontano un miglio quanto si stanno annoiando) e serve un vero moderatore che sappia dare ritmo all'incontro. E soprattutto dobbiamo mettere al centro gli spettatori, rivolgerci innanzitutto a loro (e non con gli ospiti che parlano tra loro come se oltre a loro non ci fosse nessuno). Chi guarda, infatti, se dal vivo di solito si trattiene dall'alzarsi dalla sedia, uscendo dalla sala sbuffando, davanti a un video può farlo (e lo fa) mille volte.
Insomma, anche la più piccola diretta deve cercare di guadagnarsi l'attenzione degli spettatori, curando tutto nei minimi aspetti.
Intendiamoci, non si tratta tanto di avere a disposizione strumenti professionali (che per certe cose peraltro aiutano) ma di cura. La stessa che mettiamo ogni volta che invitiamo un ospite importante a casa nostra. Da come lo invitiamo, al luogo nel quale lo accogliamo, al tono di voce che usiamo gli trasmettiamo quanto teniamo a lui. Ecco, online deve valere la stessa cosa: lo spettatore va cercato, accolto e amato. E va rispettato il suo tempo. Ognuno di noi ne ha sempre meno e sempre più sollecitazioni. Per cui chi decide di seguirci, per farlo ha rinunciato a tanto altro. Possiamo anche andare avanti a comportarci senza tenerne conto, a patto che poi nessuno si lamenti se su migliaia di potenziali spettatori ne raccoglie quando va bene poche decine.
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